(FOTO) Santa Chiara del Tirso, il villaggio abbandonato nel cuore della Sardegna

Durante la costruzione della diga, il villaggio di Santa Chiara fu edificato per ospitare i dipendenti della Società Elettrica Sarda. Questo borgo, che contava circa 450 abitanti, era dotato di servizi essenziali come una chiesa e un cinema, creando un microcosmo autosufficiente.
Il villaggio di Santa Chiara, situato nel territorio di Ula Tirso in provincia di Oristano, racconta una storia di ingegneria, comunità e abbandono. Tra il 1917 e il 1924, lungo il corso del fiume Tirso, venne costruita la diga di Santa Chiara, un’opera imponente che diede origine al Lago Omodeo, allora il più grande lago artificiale d’Europa. La diga fu progettata dall’ingegnere Angelo Omodeo e inaugurata il 28 aprile 1924 alla presenza del re d’Italia Vittorio Emanuele III.
Il Villaggio di Santa Chiara
Durante la costruzione della diga, il villaggio di Santa Chiara fu edificato per ospitare i dipendenti della Società Elettrica Sarda. Questo borgo, che contava circa 450 abitanti, era dotato di servizi essenziali come una chiesa e un cinema, creando un microcosmo autosufficiente.
Negli anni Ottanta, tuttavia, la vecchia diga mostrò segni di deterioramento e per ragioni di sicurezza fu dismessa insieme alla centrale idroelettrica. Il villaggio, senza più la sua funzione principale, venne progressivamente abbandonato. I dipendenti chiesero di poter acquistare le case, ma l’ENEL preferì tentare di vendere tutto il villaggio a un’unica società. La vendita non si concretizzò mai e il borgo fu lasciato al suo destino.
Nel 1997 venne inaugurata la nuova diga, denominata Eleonora d’Arborea, più alta e capiente della precedente. Il conseguente innalzamento delle acque sommerse tutto ciò che si trovava nella valle, inclusa la casa del capo centrale della diga, che viene occasionalmente riportata alla luce quando il livello del lago cala.
Lo Stato Attuale
Oggi, il villaggio di Santa Chiara è un luogo abbandonato e in rovina. La vegetazione ha iniziato a riappropriarsi degli spazi, con infissi distrutti, pareti scrostate e interni che custodiscono macerie e oggetti appartenuti agli antichi abitanti. La chiesa è l’unico edificio ancora ben conservato e viene utilizzata occasionalmente per feste. In anni recenti, il borgo è stato utilizzato per attività ludiche come il softair.
Un tentativo coraggioso di ridare vita al villaggio è stato intrapreso da un’anziana ex abitante del borgo, Isabella Flore, che ha creato una onlus con l’intento di trasformare il borgo in un centro di accoglienza per donne e minori vittime di abusi. Nonostante l’invio di tutti i documenti necessari per richiedere il comodato d’uso gratuito del borgo, le risposte tardano ad arrivare e il sogno non si è ancora realizzato.
Il villaggio di Santa Chiara, con la sua storia intrecciata di ingegneria e comunità, rappresenta oggi un luogo di memoria e malinconia. La diga di Santa Chiara e successivamente quella di Eleonora d’Arborea, sono simboli del progresso e delle sue conseguenze, lasciando un’eredità complessa di innovazione e abbandono.

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