Ricco e tra i più vari in Sardegna: alla scoperta del patrimonio archeologico dell’Ogliastra
Nonostante l'Ogliastra sia spesso ricondotta al mare cristallino e alle splendide spiagge, c'è da dire che come territorio ha tantissimo da offrire anche in materia di patrimonio archeologico. Oggi vi porteremo in un piccolo viaggio tra i nuraghe più importanti e caratteristici di questo territorio.
Se non avessimo tutti ben chiara la forma di un nuraghe, sarebbe l’etimologia stessa della parola a chiarirci le idee. La parola nuraghe, infatti, deriva da nura o nurra ( mucchio cavo) e racconta, appunto, di una costruzione a tronco di cono realizzata con enormi massi di pietra squadrati che, sovrapposti gli uni agli altri, formano tanti anelli concentrici che si restringono sempre più verso l’alto, tenendosi insieme con il loro stesso peso.
Abitazioni? Edifici religiosi? Monumenti funebri? Fortezze? Gli studiosi nel tempo hanno avanzato tantissime ipotesi su quella che doveva essere la loro funzione.
In Sardegna sono tantissimi i siti archeologici appartenenti alla civiltà nuragica (nuraghi, tombe di giganti, templi a megaron, templi a pozzo) e in Ogliastra, in particolare, ne sono stati censiti centinaia. Nonostante l’Ogliastra sia spesso ricondotta al mare cristallino e alle splendide spiagge, c’è da dire che come territorio ha tantissimo da offrire anche in materia di patrimonio archeologico.
Oggi vi porteremo in un piccolo viaggio tra i nuraghe più importanti e caratteristici di questo territorio.
Partiamo da quello che per noi è uno dei più affascinanti e che senza dubbio merita una visita, il nuraghe di Ruinas.
Si trova a quasi 1200 metri di altezza sul livello del mare, ai piedi del Gennargentu, in territorio di Arzana. Risulta essere uno dei più alti della Sardegna ed è di una bellezza che in tanti hanno definito “struggente”. Intorno a sé ha un vero e proprio villaggio che si sviluppa intorno al maestoso nuraghe, che domina un pozzo sacro e più di duecento duecento capanne a pianta circolare, di cui oggi sono rimaste le basi in pietra. Questo antico insediamento umano antichissimo si dice fosse abitato fino al Medioevo: la tradizione orale racconta sia stato abbandonato a causa di una drammatica pestilenza intorno al 1300 che aveva decimato la popolazione. I sopravvissuti furono accolti ad Arzana e si stabilirono nella parte estrema della periferia dell’abitato, nella parte alta di “Preda ‘e Maore”.
Proseguiamo il nostro viaggio spostandoci a Lanusei, al Parco Archeologico del Bosco Selene.
All’interno di un bosco quasi incantato, è possibile visitare un meraviglioso complesso archeologico risalente all’età del Bronzo. Nel museo archeologico nazionale di Cagliari sono esposti alcuni bronzetti provenienti proprio da questo sito. Il sito è formato da ben cinque Tombe dei Giganti, tre Pozzi Sacri e da un Villaggio Nuragico che comprende un Nuraghe Complesso, che si chiama “Gennacili”, attorniato da un agglomerato di circa 200 capanne e mura difensive.
Quest’anno è stato inaugurato proprio qui il Nur Archeopark, un parco composto da più strutture che sono riproduzioni di edifici e monumenti dell’antichità sarda, all’interno di un percorso costituito da pannelli illustrativi con le informazioni in tre lingue, che permettono a una molteplicità di visitatori – dal bambino al centenario, dall’appassionato di storia e archeologia alla scolaresca – di scoprire la Preistoria e la Storia Antica della Sardegna in modo coinvolgente.
Vicinissimo al bosco Seleni, nel comune di Ilbono, troviamo invece il celebre nuraghe di Scerì.
È uno dei siti più affascinanti e ricchi di storia dell’Ogliastra: in pochi metri quadri si trovano infatti testimonianze che vanno dal Neolitico (IV-III millennio) alla Civiltà Nuragica (Età del Bronzo Medio e Recente, XV-XII secolo a.C.), abbracciando un arco temporale di tremila anni. Oltre al nuraghe, in questa preziosa area, si possono osservare anche un villaggio e due domus de janas scavate in due massi. La prima, monocellulare, è accessibile con un ingresso sopraelevato preceduto da un breve padiglione. La seconda presenta un unico vano purtroppo non più integro.
Spostiamoci ora a Osini, nell’altopiano di Teccu, per ammirare il nuraghe Serbissi con il suo villaggio nuragico.
Siamo di fronte a uno dei siti meglio conservati di tutta la Sardegna, tra i più visitati e conosciuti in Ogliastra. Il complesso nuragico di Serbissi, risalente al XVIII-X a.C., comprende un nuraghe complesso con annesso villaggio, una grotta con due ingressi, due tombe dei giganti e due nuraghi costituiti da una sola torre. A rendere questo sito più affascinante e suggestivo è la sua struttura maestosa, ancora oggi in ottime condizioni. Il nuraghe è composto da quattro torri: la torre centrale è alta più di sei metri, le altre sono più piccole. Tutte sono circondate da una cinta muraria e da ben otto capanne di forma circolare.
L’accesso alle varie torri avviene da un piccolo cortile. La particolarità del sito è che sotto al nuraghe si trovano delle grotte carsiche, che hanno due entrate: una nel comune di Osini e una nel Comune di Gairo. Si presume che queste grotte servissero come magazzino per alimenti. Nel fondovalle si trovano due tombe dei giganti. Una è del tipo a filari con stele centinata, oggi purtroppo interrata. L’altra, del tipo a filari di blocchi seguendo la tecnica isodoma, è quasi interamente danneggiata. Inoltre sono presenti due nuraghi monotorri chiamati Sanu e Orruttu, ubicati nella piana.
Nei pressi della spiaggia di Orrì, nel comune di Tortolì in località S’ortali e su monte.
A due passi dalle splendide spiagge di Orrì, sorge uno dei fiori all’occhiello del comune tortoliese: il complesso nuragico di S’Ortali ‘e su Monte. Ogni anno tantissimi turisti visitano il sito, testimonianza dell’età prenuragica e nuragica: le domus de janas, la necropoli, il nuraghe complesso trilobato ( oggi è alto cinque metri e mezzo, ma in origine pare sfiorasse i venti metri), i menhir, la tomba dei giganti in granito e i resti di un probabile circolo megalitico che si trovano nella zona di San Salvatore sono veramente unici. A due passi dal mare, il Lido di Orrì, questo sito riassume tre millenni di preistoria.
A meno di un’ora d’auto da Tortolì si trova un altro sito di grandissima rilevanza. Lo si vede da lontano, sentinella silenziosa della foresta di Montarbu. Stiamo parlando del nuraghe monotorre Ardasai di Seui. La struttura fa parte di un complesso che comprende anche un villaggio, i resti di una tomba di Giganti e una fonte sacra. Del nuraghe, costruito durante il Bronzo medio (XVII-XIV secolo a.C.) oggi si conserva solo il piano inferiore e la scala elicoidale che portava al piano superiore. Le capanne del villaggio erano disposte attorno al nuraghe. Altre consistenti tracce di insediamenti sono costituite dal villaggio nuragico fortificato di Serra su Casteddu, che si trova sulla cima del monte che si erge di fronte al nuraghe Ardasai. Intorno, altri nuraghi, sepolture, villaggi e circoli megalitici. Insomma, è proprio il caso di parlare di un vero e proprio tesoro archeologico.
Contenuto realizzato in collaborazione con la Regione Sardegna, Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La scrittrice Emma Fenu racconta “La Madre del Vento”: «L’Isola per me è teatro in cui si mettono in scena sentimenti ancestrali»
Antiche leggende e cicatrici del passato: su questi due punti si intrecciano le vite di Dalida e Lucia, a Guelar – piccolo borgo di pescatori sulla costa sarda –, in quella che è l’ultima fatica letteraria di Emma Fenu, scrittrice algherese giramondo, “La madre del vento” (edito Gli scrittori della Porta Accanto).
“La verità è semplice e terribile… Non sono più la Dalida di cui si raccontava, nel silenzio di sere buie, fra bisbigli e brividi. Sono stata la fanciulla del borgo che impazzì per colpa del diavolo. A me solo tu, Madre del Vento, hai raccontato fiabe nere, tenendomi seduta sulle ginocchia; mia madre non lo fece mai.”
Antiche leggende e cicatrici del passato: su questi due punti si intrecciano le vite di Dalida e Lucia, a Guelar – piccolo borgo di pescatori sulla costa sarda –, in quella che è l’ultima fatica letteraria di Emma Fenu, scrittrice algherese giramondo, “La madre del vento” (edito Gli scrittori della Porta Accanto).
Dalida è segnata da un dono inquietante che ha profondamente influenzato la sua esistenza, fino a condurla tra le mura di un manicomio. Lucia, alla ricerca delle proprie radici, scopre il destino che lega entrambe, fatto di sensi di colpa e segreti.
Attraverso una serie di rivelazioni strazianti e sconvolgenti, emerge un affresco familiare su cui pesa il fardello dei ricordi e una maledizione che ha segnato un’intera generazione. Al centro, la figura enigmatica della Madre del Vento, un’entità potente e ambigua, una presenza misteriosa che governa le acque, i venti e le tempeste, più reale di una madre di carne.
Quando e come arriva l’ispirazione per questa nuova storia?
Arriva una notte di febbraio del 2020, quando mio marito riceve la notizia della morte di sua nonna: ci riferiscono le sue ultime parole, pronunciate in perfetta lucidità, rivolte alla suora che la accudiva: “Tienimi la mano, stanotte ho paura.” E allora ho ricordato la sua vita e quella di mia nonna, entrambe legate alle tempeste della Candelora, e quella delle tante donne conosciute e sconosciute a cui desidero dare voce.
Parlaci dell’ambientazione, Guelar, piccolo borgo di pescatori.
Guelar è l’anagramma di Alguer, il toponimo catalano di Alghero. La storia inizia durante il periodo precedente alla seconda guerra mondiale e prosegue fino al ‘69. Guelar è un borgo medievale sul mare, abitato soprattutto da pescatori. Un borgo di preghiere e riti pagani, di donne potenti e forti, profumate di maestrale, anice e farina. Un borgo in cui gli spiriti si aggirano trasportati dal vento.
Due donne, Lucia e Dalida, i cui cammini si intrecciano: cosa ci puoi dire sui personaggi femminili di questo tuo nuovo lavoro?
Dalida e Lucia rappresentano il percorso sociale dell’emancipazione femminile e quello interiore della ricerca delle radici e del perdono. Di più non posso svelare!
Ma non solo: una terza entità, potente, la Madre del Vento, una figura da sempre presente nelle leggende sarde.
La mia madre del Vento si ispira alla creatura della tradizione sarda, principio femminile dell’elemento naturale, ma diventa anche la personificazione della morte. In lei si manifesta l’archetipo della Madre di Jung: amorevole e tremenda al contempo.
Dono inquietante, quello che possiede Dalida: ma i doni inquietanti, quelli che uniscono morte e vita, sono da sempre benedizione e maledizione insieme nell’Isola.
Dalida é “segnata” fin dalla nascita: ha il dono di prevedere le tempeste, ma la sua indole ribelle la condannerà a essere una strega maledetta, priva di amore.
La Sardegna sempre – e da sempre – presente nei tuoi libri: pur essendo lontana, sei sempre nel cuore della Sardegna. Cosa vuol dire essere figlia dell’Isola per te?
Come per Grazia Deledda, la Sardegna è per me il teatro in cui si mettono in scena sentimenti ancestrali: amore, odio, vendetta, perdono. Sono fatta anche io, come i miei personaggi, di maestrale, pietra, elicriso, mare e miele.
Quanto è sottile, secondo te, il confine tra morte e vita?
Morte e Vita si tengono per mano come le figure degli arazzi sardi: sono madri entrambe, sono sacre e si sfiorano. Talvolta si abbracciano.
Insegnante di italiano per stranieri e di arte e performance, organizzatrice di eventi e festival, curatrice di collana per la casa editrice Gli scrittori della porta accanto, scrittrice di saggi e romanzi. Ma non solo: intervisti e recensisci libri, sei tutor di scrittura creativa e molte altre cose. Come si trova il tempo di fare tutto?
Una vita non mi basta, ho bisogno di comunicare e di respirare arte e relazioni culturali e umane. E soffro di insonnia!
© RIPRODUZIONE RISERVATA