80 anni fa le bombe su Cagliari, oggi il ricordo di Sergio Orani: la preziosa custodia della memoria

80 anni fa bombe e morte su Cagliari. La città veniva distrutta dalle "fortezze volanti". Oggi la preziosa testimonianza del collezionista cagliaritano Sergio Orani, classe 1937. "Mi sento un incarico morale di trasmettere a tutti le sensazioni provate da bambino".
Ottant’anni fa il cielo luminoso di Cagliari si oscurava e dall’alto cadeva la morte sulla città. Era il febbraio 1943 quando gli Alleati, durante gli eventi della Seconda guerra mondiale, rovesciavano il loro fuoco di distruzione sul popolo sardo. Edifici distrutti e centinaia di vite perse. E ovviamente cicatrici indelebili ancora visibili, così come i luoghi simbolo della strenua resistenza ai demoni alati. Oggi, in questo 2023, c’è ancora chi ricorda quei terribili momenti e continua il suo prezioso ruolo di custode della nostra memoria.
Sardegna e Cagliari al centro del Mediterraneo. Nel corso degli eventi bellici l’Isola era diventata infatti una base di appoggio per sommergibili e reparti aerei delle forze dell’Asse. In pratica, un obiettivo principe per le fortezze volanti anglo-americane. “Ricordo ancora quel rumore oppressivo degli aerei. In quel periodo ero piccolo e guardavamo con sorpresa quello che succedeva dai cieli”, il ricordo del collezionista cagliaritano Sergio Orani, classe 1937 e che ai tempi era solo un bimbo di cinque anni. Da qui l’espressione “Su cielu prenu” e anche quest’anno la memoria non si è fermata. Nella sala dell’istituto salesiano “Don Bosco” la proiezione del prezioso documentario sull’Isola in guerra, a cura di “Sardegna Sotterranea”, corredato di immagini inedite e importanti testimonianze. Tra queste c’è stata anche quella di Sergio, che insieme a Marcello Polastri, Alessandro Congia e Bruno Casanova ha condiviso la sua preziosa memoria e una ricca galleria di foto.
Il 7 febbraio 1943 gli statunitensi attaccavano Elmas. I bombardamenti su Cagliari iniziavano il 17 febbraio. Quel giorno fu un tappeto bombe di medio calibro e spezzoni incendiari. L’area attorno a via Sant’Efisio, dove tra la cripta e la chiesa di Sant’Anna tante povere anime avevano cercato rifugio, diventava allora un bagno di sangue. Circa 200 i morti, quasi 300 i feriti. “Noi quel giorno non ci trovavamo lì”, racconta Sergio, “ma diverse persone ce l’hanno raccontato. Ricordo che nel mio palazzo i vicini provavano a rintanarsi sotto la protezione dei muri maestri che erano spessi. Ma dopo la caduta delle bombe, alcune delle quali colpirono Palazzo Vinci in piazza Garibaldi, capimmo che si doveva cercare riparo nei rifugi, come quello ai giardini pubblici, vicino a casa nostra”.
Il suono sinistro delle sirene e il rumore delle bombe diventavano in poco tempo una triste consuetudine. Quelle voragini, profonde anche dieci metri, sarebbero state una delle tante ferite su un capoluogo sardo che a poco a poco diventava una città fantasma. I servizi, anche quelli più essenziali, vennero a mancare e la poca gente che ancora non era riuscita a sfollare pativa la fame. Il 26 febbraio, il nemico di nuovo all’attacco della città. Stavolta, a essere maggiormente colpiti erano i quartieri di Bonaria, Castello e Stampace. Il Teatro Civico e il Bastione di Saint Remy diventavano irriconoscibili. “Le bombe colpirono anche il quartiere di Castello. Una sul portico Vivaldi Pasqua: laddove c’era il Palazzo Pes. Poi sul Portico Cristo, dove un tempo c’era il Portico Laconi, oggi chiuso”, ricorda Sergio. “Mio padre allora decise di procurarsi un camioncino e il 27 febbraio sfollammo. Prima a Samassi, da dove però andammo via per un’epidemia di malaria; poi a Mogoro, dove rimanemmo fino alla fine della guerra”.
Le bombe caddero anche in quella terribile domenica del 28 febbraio. “Fu un finimondo. Era l’ora di pranzo ed era una giornata di sole e caldo, quasi primavera. Poi gli aerei e il macello”. Quel giorno, insieme alle numerose vittime, caddero distrutti anche il Palazzo della Dogana e la Stazione Ferroviaria, dove tanti erano in attesa di qualche treno per fuggire dalla città. A ricordare quel giorno nefasto oggi c’è una lapide commemorativa sotto il palazzo della Regione di via Roma. Insieme ai segni che ancora oggi sono visibili qua e là nel Cagliaritano. I resti di fortini e bunker abbandonati, vittime di incuria, ma che rappresentano la nostra memoria.
Nel mese di maggio altre bombe trasformavano Cagliari in un cumulo di macerie. Poi, dopo l’estate, l’armistizio dell’8 settembre 1943 ad annunciare l’uscita dell’Italia e della Sardegna dalla guerra. “Una volta tornati a casa, ricorderò sempre il giorno in cui mia madre fece gli agnolotti. Li mangiammo con gusto, dopo la fame patita. E poi mi ricordo quel pane bianco portato dagli americani, così diverso da quello nero che consumavano durante la guerra. Da adulto ho realizzato di dover raccontare la storia. Io tra i pochi testimoni? A 85 anni mi sembra di essere un sopravvissuto. Il mio è un incarico morale di trasmettere a tutti le sensazioni provate da bambino”.

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