Lo sapevate? Perché a Carloforte e Calasetta si parla genovese?
Nelle isole sarde di San Pietro e Sant'Antioco, in pieno basso Sulcis, nelle cittadine di Carloforte e Calasetta si parla un dialetto genovese antico. Questo lo sanno tanti ma non tutti sanno il perché. C'entrano l'Africa, Genova, il Piemonte, naturalmente la Sardegna, la Liguria e persino la Spagna. Scopriamo insieme questa storia affascinante.
Lo sapevate? Perché a Carloforte e Calasetta si parla genovese?
Nelle isole sarde di San Pietro e Sant’Antioco, in pieno basso Sulcis, nelle cittadine di Carloforte e Calasetta si parla un dialetto genovese antico. Questo lo sanno tanti ma non tutti sanno il perché. C’entrano l’Africa, Genova, il Piemonte, naturalmente la Sardegna, la Liguria e persino la Spagna. Scopriamo insieme questa storia affascinante.
Giuridicamente Carloforte è terra di Sardegna, fa parte infatti provincia di Carbonia-Iglesias, ma qui tutto ricorda Genova. Cucina, lingua, tradizioni, usanze, inoltre Carloforte è, dal 2004, comune onorario di Genova. Stessa situazione, più o meno anche dall’altra parte del braccio di mare che collega San Pietro e Sant’Antioco, a Calasetta.
L’origine genovese di questo pezzetto di Liguria in mezzo al mare risale a secoli fa. Intorno al 1540, pescatori e commercianti di Pegli abbandonarono la Liguria alla volta dell’isola tunisina di Tabarca, al seguito dei Lomellini, casato genovese, attirati dall’oro rosso del mare, il corallo.
I coloni pegliesi diedero vita alla comunità che sarà detta “tabarchina” e che sarebbe rimasta sull’isola per due secoli, dedicandosi alla pesca del corallo, interamente acquistato dai Lomellini, che rivendendolo con un forte ricarico acquisirono da questo commercio ingenti ricchezze. Se il corallo rimaneva la principale fonte di reddito, i Lomellini grazie alla posizione strategica dell’isola e alle buone relazioni con le autorità locali instaurarono commerci con le popolazioni barbaresche acquistando anche altri prodotti, come cereali, olio, cera, lana e cuoio, che rivendevano in patria.
La comunità continuò a prosperare anche dopo la conquista della Tunisia da parte degli ottomani (1574), tuttavia l’esistenza della colonia non fu sempre tranquilla, sia per le mire dei francesi che volevano occupare l’isola che per le scorrerie dei pirati barbareschi. La situazione peggiorò per varie cause nella prima metà del XVIII secolo. Nel 1731 Stefano Lomellini cedette l’isola al cugino Giacomo. Le incursioni dei pirati, la diminuzione del banco corallifero dovuta allo sfruttamento intensivo e l’eccesso di popolazione portarono ad una diminuzione dei profitti.
Dopo circa due secoli, le pressioni subite da arabi e pirati e l’esaurimento dei banchi corallini, costrinsero i “tabarchini” a lasciare l’isola e a trovare rifugio al largo del litorale sardo. Qui, a San Pietro e Sant’Antioco, isole dell’arcipelago del Sulcis, fondarono rispettivamente i comuni di Carloforte e Calasetta. E così ebbe inizio la storia dei “genovesi di Sardegna”.
Il 17 aprile 1738, una spedizione di circa 500 tabarchini, popolo di marinai genovesi che viveva nell’isola tunisina di Tabarca, approdarono per la prima volta sull'”Isola degli Sparvieri”, l’attuale Isola di San Pietro allora completamente disabitata.
Pochi mesi prima, nell’ottobre del 1737, Agostino Tagliafico e i nobili piemontesi responsabili dell’isola per conto dei Savoia, stipularono un contratto che permise l’insediamento di alcune centinata di tabarchini dove poi sorgerà il centro abitato di Carloforte.
Tempi difficili furono inizialmente per i marinai di origine ligure: le vaste aree padulose presenti nell’isola erano causa di condizioni insalubri e malattie. Dopo le bonifiche e l’acclimatamento a San Pietro i tabarchini furono capaci però di costruire un sistema economico e sociale solido e florido basato sulla raccolta del corallo, la pesca del tonno, e la produzione del sale. Grazie a queste condizioni iniziarono ad arrivare centinaia di immigrati, soprattutto dalla Liguria e da Pegli in particolare.
Questa la “genesi” di un luogo davvero unico ed affascinante della Sardegna, tanto prossimo al resto dell’Isola, quanto distante e originale negli usi, nei costumi e nella lingua. A Carloforte si parla infatti ancora oggi il tabarchino, antico dialetto ligure.
Nel frattempo, nel 1741 il Bey di Tunisi invase l’isola di Tabarca e fece prigionieri gli abitanti rimasti, riducendoli in schiavitù. Essi dopo lunghe trattative vennero riscattati per l’interessamento di Carlo Emanuele III, del papa Benedetto XIV e di Carlo III di Spagna, con il contributo di molti nobili europei. Quasi tutti gli schiavi liberati raggiunsero Carloforte; un ultimo gruppo di tabarchini si insediò nel 1770 sull’isola di Sant’Antioco, vicino a quella di San Pietro, fondando il paese di Calasetta.
Parte dei tabarchini liberati si insediò nel 1768 sulla piccola isola spagnola di San Pablo, al largo di Alicante, dove fondarono il centro di Nueva Tabarca. Diversamente da Carloforte e Calasetta quest’ultima non mantenne però i contatti con Genova e perse le sue tradizioni, integrandosi completamente nell’orbita culturale e linguistica spagnola.
A Calasetta il Re, Carlo Emanuele III di Savoia, così all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, che nel 1758 aveva ottenuto in feudo la parte nord-occidentale del territorio dell’Isola di Sant’Antioco, il compito di guidare l’insediamento di Calasetta. L’insediamento fu deciso formalmente nel 1770. Tra il 1770 e il 1771 fu elaborato un piano urbanistico per Calasetta che venne poi realizzato presso l’insenatura denominata Cala de Seda che influì sulla denominazione di Calasetta del nuovo borgo. Il nucleo abitato fu popolato nell’ottobre 1770 dai primi 130 coloni (38 famiglie), di origine ligure, che furono trasportati dal capitano e armatore Giovanni Porcile, sulla nave Ancilla Domini verso l’isola di Sant’Antioco.
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