Accadde oggi: 18 marzo 1998, a Cagliari chiude il manicomio di Villa Clara

Uomini e donne affette da patologie mentali, ma anche alcolizzati, depressi, omosessuali, donne gravide e bimbi deformi: il manicomio di Villa Clara fu la triste cornice di migliaia di storie, oggi parzialmente conservate – per quanto possibile – presso l’Archivio di Stato di Cagliari, in forma di cartelle sanitarie e lettere degli stessi pazienti, indirizzate a parenti e dirigenti della struttura.
Il manicomio di Villa Clara è stato il teatro silenzioso di un’infinità di vite spezzate, di storie che ancora oggi riecheggiano tra le pagine ingiallite delle cartelle cliniche e nelle lettere disperate scritte dai pazienti, conservate – almeno in parte – nell’Archivio di Stato di Cagliari. Uomini e donne relegate ai margini della società, internati spesso non per malattie mentali certificate, ma per fragilità, diversità o semplici convenzioni sociali del tempo. Alcolisti, depressi, individui con disturbi psichiatrici reali o presunti, persone considerate scomode per la morale dell’epoca, tra cui omosessuali, donne incinte fuori dal matrimonio e persino bambini nati con deformità. Il manicomio non era solo un luogo di cura, ma un recinto in cui la società confinava chi non rientrava nei suoi schemi, un universo chiuso fatto di sofferenza, abbandono e speranze soffocate. Le lettere che alcuni pazienti scrivevano ai propri familiari o ai dirigenti della struttura sono testimonianze commoventi di un’umanità dimenticata, suppliche accorate per un’attenzione che spesso non arrivava mai. Oggi, quegli scritti rappresentano un prezioso frammento di memoria collettiva, l’eco di un passato in cui il concetto di malattia mentale era troppo spesso legato al pregiudizio e alla solitudine.
Erano gli anni Novanta del XIX secolo, quando la Provincia di Cagliari iniziò a prendere i primi provvedimenti in merito alla gestione dei pazienti psichiatrici. Questi erano stati fino ad allora internati presso i reparti sotterranei dell’Ospedale Civile, ma gli spazi erano ormai del tutto insufficienti, e si optò così per la costruzione del primo vero e proprio ospedale psichiatrico della Sardegna. Nel 1892 i primi passi: l’amministrazione affittò alcuni locali della tenuta agricola di Monte Claro, e nel 1899 i lavori furono ufficialmente affidati all’ingegnere Stanislao Palomba. Questi si rifece alla tradizione europea: ideò un centro “a villaggio”, con i vari padiglioni dislocati nell’area del colle, collegati da vialetti e isolati dal resto del contesto cittadini da altissime mura. Costruite sì per evitare la fuga dei degenti, ma soprattutto per evitare che i cagliaritani vedessero quanto vi sarebbe accaduto all’interno.
Cinquecento sarebbe dovuto essere il limite massimo di ospiti, ma Villa Clara arrivò a contarne quasi duemila. Una degenza che iniziava con un periodo di isolamento durante il quale il paziente veniva tenuto legato, metodo utilizzato dall’equipe per valutare l’aggressività del nuovo arrivato, e stabilirne così la sanità – cui seguivano le dimissioni – o la presenza di una qualche forma di pazzia. “Le persone affette per qualsiasi causa da alienazione mentale debbono essere custodite e curate nei manicomi, in caso siano pericolose a sé o agli altri, o qualora siano di pubblico scandalo“: questo era quanto recitava la normativa in merito, in vigore dal 1904. Un trattamento che era l’espressione concreta dell’idea stessa di cura della malattia mentale, che prevedeva imprescindibilmente l’allontanamento dalla società, l’esclusione, l’emarginazione. Donne e uomini nudi, a quattro zampe, pazienti dagli occhi stralunati e vuoti: questo vide e raccontò attraverso le sue foto Josto Manca, fotoreporter sardo che raccontò l’inferno di Villa Clara.
Il 18 marzo 1998 l’istituto fu chiuso e gli edifici abbandonati, senza che una soluzione fosse trovata per quei pazienti che, così, si ritrovarono improvvisamente liberati ma al contempo incapaci di reinserirsi in società, sprovvisti di qualsiasi aiuto. Le strutture furono quindi acquistate poi dalla Asl Cagliari, che scelse di ristrutturarli e trasformarli in un Centro della Salute, ancora oggi in uso.

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