Alla scoperta degli antichi mestieri. Alberto Motzo, il “calzolaio degli studenti” di via Istria
Cagliari, alla scoperta degli antichi mestieri. Nel quartiere La Vega la bottega di Alberto Motzo, il calzolaio degli studenti universitari: «Il lavoro c’è, ma le spese sono troppe. Non posso insegnare il mio mestiere». A Cagliari, nel rione La
Cagliari, alla scoperta degli antichi mestieri. Nel quartiere La Vega la bottega di Alberto Motzo, il calzolaio degli studenti universitari: «Il lavoro c’è, ma le spese sono troppe. Non posso insegnare il mio mestiere».
A Cagliari, nel rione La Vega, si riscopre un mestiere comunemente considerato in via d’estinzione. Tra fotocopisterie, piccoli market e bar, il 63enne Alberto Motzo, nuorese ma cagliaritano d’adozione, dal 2007 gestisce la sua calzoleria in via Istria 32. Una bottega in perfetto vecchio stile, seppur al passo con le moderne esigenze, con gli strumenti caratteristici, come il piede di ferro, il trincetto e la lesina e quell’immancabile profumo di colla. C’è tutto, insomma, ad eccezione, quasi inaspettata, del poster del Cagliari dello scudetto: «Non sono tifoso» si giustifica col sorriso il calzolaio.
Quella di Motzo è una carriera che inizia relativamente tardi rispetto a quelli che si mettono “sotto maestro” poco più che adolescenti: «Ho iniziato da grande, dato che prima ho fatto diversi lavori. Nel 1978, quando avevo 28 anni, sono entrato nella cooperativa dei calzolai, che era il lavoro di mio nonno materno». Lavorando in maniera itinerante, fra il mercato di San Benedetto e quello di via Quirra, Motzo in poco tempo si è fatto conoscere da tutti gli abitanti della zona e quando undici anni fa ha rilevato l’attività non gli è stato difficile creare il suo “giro”. «Da quando sono qui – racconta – c’è sempre una continua crescita, dato che gli altri calzolai per un motivo o per un altro vanno via».
Un’arte di cui non si può fare a meno e nonostante il dominio della tecnologia resiste oggigiorno, continuando a soddisfare i numerosi clienti, anche giovanissimi, che si affacciano nella sua bottega: «Più che la clientela, sono cambiate le esigenze, visto che i materiali sono diversi da quelli di un tempo. Io lavoro molto bene con gli studenti universitari fuori sede della zona. Nei paesi non si trovano più calzolai e allora vengono qui a portarmi le scarpe di tutta la famiglia».
Quello del ciabattino è un lavoro che richiede certamente buone capacità manuali, ma negli anni del millennio Duemila è chiamato comunque a innovarsi. «Alcuni strumenti in vecchio stile rimangono – spiega Alberto – ma ormai si usano la macchina e il fornetto. Non si cuce più a mano e seduti come un tempo. Ci dobbiamo velocizzare». Un lavoro, dunque, che non soffre la crisi come altri, sebbene le spese di gestione non manchino e per un giovane sia difficile oggi avvicinarsi: «Il guadagno c’è, non posso lamentarmi, ma la tassazione è troppo alta. Il mestiere non è morto, ma non ti danno la possibilità di trasmettere il mestiere agli altri. L’apprendistato costa troppo e lo Stato non lo sostiene».
© RIPRODUZIONE RISERVATA