Francesco Fais, a San Benedetto più di mezzo secolo di “Merceria” e nel cuore ricordi da speaker
Oltre mezzo secolo di Merceria a San Benedetto. Francesco Fais resiste nel commercio sotto casa. Un'attività che è un pezzo di storia di Cagliari. E nel cuore di Fais i ricordi da speaker radiofonico.
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Filo, spago, bottoni, tessuti, forbici e tanto altro. Tutto sotto casa e con la stessa passione, proprio come un tempo. Chissà ancora per quanto. Nella via Petrarca la “Merceria” di Francesco Fais è una delle attività che ha fatto la storia del commercio cagliaritano. Purtroppo, ormai in via di estinzione.
Una storia che inizia come altre, quando la mamma del signor Francesco dà inizio all’attività nel 1959, nella via San Benedetto, dove oggi sorge una nota pizzeria. Poi, nel ’63 il trasferimento nella via Petrarca. “Ho iniziato con mia madre da ragazzo – racconta Fais – poi dopo le scuole è diventata la mia attività, nel periodo in cui tutto si comprava e vendeva sotto casa”. Ma non c’è solo il commercio fra gli interessi del signor Francesco, diploma da perito chimico e passione per la musica. “Come hobby avevo quello del microfono, lavorando come speaker radiofonico e di nelle prime radio libere della Sardegna, negli anni ’70”. Nel corso del tempo, infinite le canzoni annunciate, così come gli ospiti presentati e i collegamenti sportivi. Prima dello stop negli anni Duemila.
Ma oggi, dalle parti di via Petrarca, la musica fa un brutto suono. I prodotti ci sono e pure il possibile bacino di clienti, visto che attività di merceria mica sono tante. Eppure è calma piatta. “La gente compra online e sul web. E anche se a volte spende di più, preferisce la comodità di farsi portare a casa il prodotto”.
Si resiste con i clienti del quartiere, tanto pochi quanto fedeli. Figli, certamente, di una generazione in cui il lavoro di cucito si faceva a casa. “C’era gente che comprava molti metri di stoffa. ‘Puo sempre servire’, diceva”.
Oggi si va avanti come si può, provando a proporre prodotti nuovi e fidelizzandosi i clienti il meglio possibile, nel massimo rispetto dei colleghi della poca concorrenza.
Così Francesco resiste sino a quando sarà possibile. Poi, la storia sempre la stessa: un altro negozio che se ne va senza ricambio generazionale. “Un ritorno ai microfoni della radio? No, impossibile. Ormai anche quel mondo è completamente cambiato”.
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Quando in Sardegna la cultura resta sola: la riflessione della manager culturale Giuditta Sireus

«Un paradosso ormai diffuso, che colpisce molte realtà: progetti che trovano ascolto e valore lontano da casa, ma restano invisibili, ignorati o ostacolati proprio nei luoghi che dovrebbero esserne il primo nutrimento».
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Negli ultimi tempi si è fatto sempre più acceso il dibattito sul rapporto difficile tra amministrazioni locali e organizzatori di festival ed eventi culturali. In molti casi, gli ideatori di progetti culturali hanno denunciato una mancanza di sostegno, che talvolta li ha spinti a spostare le proprie iniziative altrove, alla ricerca di contesti più accoglienti. In altri casi, gli stessi amministratori non si sono presentati agli eventi, non hanno preso parte alle iniziative e sono rimasti distanti dal tessuto culturale che avrebbero dovuto promuovere. Questa distanza istituzionale, oltre a segnalare disinteresse, contribuisce a far sentire i progetti isolati e poco valorizzati.
Per riflettere su questo fenomeno abbiamo chiesto un parere a Giuditta Sireus, manager culturale e direttrice artistica del Club di Jane Austen Sardegna. Le sue parole sono state nette e le riportiamo integralmente:
«Esprimo una preoccupazione sempre più profonda verso quelle comunità che, in modo sistematico o silenzioso, non sostengono i progetti culturali e le iniziative culturali che nascono e crescono nei propri territori, salvo poi vederli riconosciuti, apprezzati e applauditi altrove», ha spiegato Sireus. «Un paradosso ormai diffuso, che colpisce molte realtà: progetti che trovano ascolto e valore lontano da casa, ma restano invisibili, ignorati o ostacolati proprio nei luoghi che dovrebbero esserne il primo nutrimento».
Secondo Sireus, la mancanza di sostegno non è mai neutra. Può assumere forme economiche, morali, istituzionali, ma anche semplicemente manifestarsi come assenza: un silenzio pesante che incide sulla vitalità dei territori e sulla possibilità stessa che la cultura continui a essere un motore di crescita. «La cultura non è un ornamento né un esercizio autoreferenziale — sottolinea —. È crescita collettiva, condivisione, apertura. È uno spazio comune che vive solo se viene attraversato, sostenuto, difeso».
Non sostenere ciò che nasce sul proprio territorio, aggiunge, significa rinunciare a una parte dell’identità collettiva. Ma rivendica anche la scelta della cosiddetta “barrosia”: restare, anche quando il contesto sembra ostile. «Rimanere non per rassegnazione, ma come dichiarazione di esistenza. Restare per continuare a seminare, per chi apprezza, per chi riconosce il valore di ciò che viene proposto. Restare per alimentare un disturbo positivo: accendere dibattito, stimolare confronto, creare possibilità di bellezza».
Un appello diretto, infine, agli amministratori pubblici: «Sostenere la cultura non è un gesto opzionale, né una concessione. È una responsabilità politica. Ogni assenza, ogni mancata partecipazione, è una scelta che produce conseguenze. Quando un progetto culturale viene lasciato solo, non perde solo chi lo porta avanti: perde l’intera comunità».
Le parole di Sireus tracciano un quadro chiaro e urgente: senza un sostegno consapevole e continuo, senza la presenza attiva di chi amministra e governa i territori, i progetti culturali rischiano di fiorire altrove, privando le comunità del proprio capitale creativo. Restare, seminare, sostenere: queste sono le parole chiave per trasformare la cultura in vero motore di crescita collettiva.
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