La cultura popolare casteddaia non perdona. Avete la testa pelata, i capelli rossi, oppure siete particolarmente pallidi o spettinati? Non c’è scampo, sa limba ha un soprannome per ognuno. Ad esser presa di mira è soprattutto “sa bisura“, l’insieme delle caratteristiche fisiche o il modo di essere di una persona.

Niente descrive meglio un pelato che l’espressione “conch’e ginogu” (testa di ginocchio), così come il richiamo al colore del sugo è perfetto per chi ha i capelli rossi, e l’appellativo di “conch’e bagna” (testa di sugo) sarà un’etichetta difficile da scrollarsi. E se conosciamo qualcuno con il mento squadrato o sporgente? “Brunch’e teula” (muso come una tegola) o “bucca e abbasantera” (bocca ad acqua santiera) gli calzeranno a pennello.

Testa, viso e capelli sono i bersagli principali per canzonare i malcapitati di turno, e così chi ha i capelli radi e disordinati “parari una gattu scroxiara” (sembra un gatto spelacchiato). Ma la cultura popolare non si ferma davanti a niente e nessuno: così chi non è proprio una cima, è apostrofato come “conch’e cipudda“(testa di cipolla), mentre chi ha la carnagione chiara, è “biancu che latti” (bianco come il latte). Il colore del viso può essere anche indefinito, pallido e malsano, e allora ecco che per descriverlo potete usare “grogu“, un colore indefinito fra il giallo e il verde.

Le dimensioni contano in città, e allora “mannu e tontu” (per quelli grandi grandi e tontoloni), “cambas de mangoni” (per chi ha il corpo grosso e le gambe fini), oppure “manus de talleri” (mani grandi come un tagliere di legno)

Se poi non sapete come descrivere le caratteristiche di qualcuno di cui non ricordate il nome, c’è il sempreverde “tasinanta“, termine intraducibile (da itta si nanta, come si dice), valido per ogni occasione, e addirittura coniugabile, quando non troverete il verbo adatto a descrivere un’azione (vemmu tasinantendi – intraducibile).

E voi? Quali altri soprannomi, riferiti all’aspetto fisico, conoscete e trovate più divertenti?

Detti e modi di dire sardi: “Zacca stradoni”, vattene, vai via.

Una frase tipica della variante campidanese della lingua sarda. “Oh Peppi, tocca, zacca stradoni”, “Oh Giuseppe, dai, prendi la strada con forza“. Questa la traduzione nel senso letterale, ma il significato più preciso è quello di”vattene, vedi di andartene”. Si tratta di un modo di dire rivolto ancora oggi a chi non è gradito in un qualsiasi contesto.