“Cagliari è la mia casa”: Luca, il clochard che vive nel gazebo dell’ex bar Marabotto

di Stefano Cabras Sono da poco passate le sei. Un chiarissimo sole lentamente albeggia su Cagliari, regalandole il suo buongiorno quotidiano. Nella centralissima piazza San Benedetto la giornata prende forma in maniera pigra e affaticata. C’è chi si dirige verso
di Stefano Cabras
Sono da poco passate le sei. Un chiarissimo sole lentamente albeggia su Cagliari, regalandole il suo buongiorno quotidiano. Nella centralissima piazza San Benedetto la giornata prende forma in maniera pigra e affaticata. C’è chi si dirige verso la fermata del Bus, chi fa colazione al bar, chi è già al lavoro da diverse ore e chi è impegnato nella raccolta dei rifiuti. C’è anche Luca, però. Luca lì ci vive. Non è un quadrivano arredato il suo, né tantomeno un lussuoso attico con vista sulla Sella del diavolo. L’ex gazebo del Bar Marabotto è diventata la sua casa.
Il bar è chiuso da poco prima di Natale, ma il gazebo fortunatamente è rimasto. Ne usufruisce una persona umile e dignitosa, con gli stessi desideri di un uomo qualunque, che ha semplicemente avuto meno fortuna, ma che non smette mai di sorridere a ciò che la vita ogni giorno gli pone davanti. Vive alla giornata. Ogni giorno è un giorno nuovo per Luca. Spera sempre che sia migliore del giorno precedente, ma allo stesso tempo spera che non sia peggio. Centinaia di persone tutti i giorni camminano e passano “dentro” casa sua. Un letto e una sedia, rimediati lungo le sue innumerevoli camminate per le vie del centro, sono tutto quello che possiede. Tanti ritagli di giornale, immagini religiose e qualche foto della sua infanzia sono incollate al plexiglas, quasi a volergli tenere compagnia durante le giornate.
La gente percorre pochi metri per poi lasciarsi alle spalle ciò che ha davanti agli occhi, facendosi magari qualche domanda, ma proseguendo per la propria strada senza pensare troppo alle risposte. Luca ha 42 anni e questa vita, purtroppo, non l’ha scelta. Ci si è trovato e si è dovuto adattare. Era una vita tranquilla la sua, umile e serena. Figlio unico di una normalissima famiglia, con padre arabo e madre cagliaritana. Il padre venne chiamato nel proprio paese per la guerra, guerra che purtroppo lo vide iscritto nel registro dei caduti. «Mia madre è praticamente morta lo stesso giorno in cui è morto mio padre» dice Luca, con voce commossa. «Ha smesso di mangiare, il dolore per la perdita di mio padre l’ha logorata. Le si è ristretto lo stomaco e nonostante un paio di interventi chirurgici, purtroppo non ce l’ha fatta», racconta ancora.
Un passante si ferma e gli offre una sigaretta e nel mentre che la fuma continua a raccontare aneddoti della sua vita: «Una volta rimasto solo ho dovuto lasciare la casa in cui vivevo. Ho girato l’Italia: Roma, Milano, Torino e Firenze. Lì ho trovato un ambiente migliore in cui vivere e da una relazione è nato mio figlio, che ora ha 21 anni. Sua madre, nonostante la mia condizione di “clochard”, non mi ha mai impedito di vederlo: lui è un bravo ragazzo, molto legato alla religione cattolica come me d’altronde». Incuriosito dal suo racconto, gli chiedo il perché del suo ritorno in terra sarda pur avendo un figlio dall’altra parte dell’Italia. «Non è semplice vivere in strada al Nord Italia – spiega – Le temperature in inverno sono troppo rigide. Cagliari è pur sempre la mia città, era da tanti anni che non tornavo e ora sono contento di essere qui».
Piano piano prende confidenza e il racconto si sposta sul suo quotidiano. «Non sempre riesco a mangiare – racconta – Mi arrangio come posso, rimediando qualcosa dai bidoni della spazzatura o ricevendo qualcosa offerta dai passanti. L’elemosina però non fa per me: se qualcuno vuole offrirmi cibo o denaro accetto volentieri, diversamente provvedo da me. Quando ho qualche monetina riesco a bere un caffè al bar, ma è solo un pretesto per poter avere accesso ai bagni e potermi rinfrescare». L’ambiente in cui vive Luca è totalmente curato da lui: se qualcuno butta una cicca nei paraggi, la raccoglie e la butta negli appositi contenitori. La mattina appena sveglio passa la scopa sul marciapiede, operazione che ripete il pomeriggio e la notte prima di coricarsi. Di recente è stato visto dare delle monete ad un ragazzo extracomunitario che chiedeva l’elemosina in via Dante. Conferma: «Anche tra noi che non possediamo nulla ci può essere condivisione. Quel ragazzo aveva fame almeno quanta ne avevo io. In tasca avevo delle monete e le ho divise con lui. Sono felice di questo, lo rifarei anche oggi se si ripresentasse l’occasione. Quel giorno abbiamo mangiato entrambi, ed è questo quello che conta».
Luca non smette ma di sorridere ed è felice della compagnia. Racconta di essere stato tante volte in medio oriente, nel paese del padre: «Prima ci andavo molto spesso, ora saranno più di 20 anni che non torno. Conoscevo anche l’arabo, ma col tempo l’ho dimenticato. La gente purtroppo fa di tutta l’erba un fascio. I popoli arabi sono tranquilli. Sono dei grandi lavoratori e sono molto ospitali nei confronti di chi arriva in casa loro».
Viene naturale chiedergli cosa si aspetta dal futuro, domanda a cui Luca risponde in maniera sicura senza però celare un filo di rassegnazione: «Mi basterebbe avere un semplice lavoretto. Negli anni mi sono proposto tante volte. Mi accontento di poco, il mio desiderio sarebbe quello di avere una stanza tutta per me e un bagno. Purtroppo però le persone sono spesso diffidenti, e prima di dare lavoro a me».
«È ora di pranzo, questo meraviglioso racconto ci ha arricchito ma non ci ha tolto l’appetito. Dopo un pranzo insieme Luca saluta e ringrazia. «Che Dio vi benedica», dice prima di rientrare “a casa” con il suo carrello.

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