L’inferno dei gatti a Quartu. Meno buio, ma nel gattile-lager serve ancora tanto aiuto

canale WhatsApp
Cagliari ha una storia industriale che parla di pietre, muri e trasformazioni, ma soprattutto di persone. E, tra queste, le protagoniste indiscusse sono state le donne. All’interno della Manifattura Tabacchi, nel cuore di viale Regina Margherita, generazioni di lavoratrici hanno fatto scorrere la linfa vitale dell’economia cittadina, segnando con le loro mani e con il loro sacrificio un capitolo indelebile della storia sociale della Sardegna.
Negli anni ’40 e ’50, centinaia di madri, figlie e vedove varcavano ogni giorno i cancelli della fabbrica. Erano loro, con la pazienza e la precisione del gesto ripetuto, a produrre i celebri sigari toscani, un prodotto che avrebbe conquistato l’Italia intera e attirato persino l’attenzione dei Savoia. Ma dietro ogni sigaro c’era molto più di un lavoro: c’era il riscatto economico di intere famiglie, la speranza di un futuro migliore, la dignità conquistata con fatica.
In un’epoca in cui le donne avevano poche opportunità lavorative e ancor meno diritti, la Manifattura offriva non solo un salario stabile – spesso superiore a quello di altre occupazioni femminili – ma anche un riconoscimento sociale. Le “sigaraie” divennero così il simbolo di una forza collettiva, di una resilienza che ha permesso a Cagliari di attraversare guerre, crisi e trasformazioni senza mai piegarsi del tutto.
Oggi, l’ex Manifattura Tabacchi resta lì, imponente e silenziosa, testimone di secoli di cambiamenti. Da convento a fabbrica, da polo industriale a luogo in cerca di nuova destinazione, le sue mura raccontano soprattutto la storia di chi l’ha abitata giorno dopo giorno: donne che con lavoro, coraggio e sacrificio hanno tenuto insieme le famiglie e l’intera comunità.
Ed è proprio grazie ad alcune immagini che quella memoria torna viva. Si ringrazia Valentina Locci per le fotografie che accompagnano queste parole: nei volti e nei gesti delle lavoratrici ritratte, ha ritrovato sua nonna, vedova e madre di sette figli. “Non l’ho mai conosciuta – racconta – ma in queste foto vedo la dignità, la fatica e la forza silenziosa di un’intera generazione di donne forti come lei”.
Quelle fotografie non sono solo ricordi: sono testimonianze di una storia di emancipazione, di resistenza e di lavoro femminile che merita di essere raccontata e custodita.