Ognuno di noi nella propria vita si sente a suo modo “chiamato”, ossia avverte un’inclinazione o una propensione a seguire un percorso che è insieme individuale e sociale, umano e professionale. Vi è una sollecitazione interiore che invita a osservare e ascoltare noi stessi con maggiore attenzione e in modo più profondo. Un’esortazione a raggiungere una consapevolezza di Sé e dell’Altro, quale motivazione “guida e sostegno” a quel cambiamento esistenziale che definisce la nostra persona, sia in termini di unicità che di appartenenza comunitaria. La vocazione ci pone in relazione con la nostra interiorità.
Non è un cammino semplice quello vocazionale; ancor più potrebbe apparire, nell’immaginario collettivo, misterioso e difficile da comprendere quello sacerdotale. A volte si percepisce come una scelta radicale, di rinuncia, rispetto a quelli che la società, dietro una spinta al conformismo, identifica come obiettivi delle nostre tappe evolutive (lavoro, matrimonio, figli, famiglia). Tanto più una scelta di vita la sentiamo lontana rispetto alla nostra, alla rappresentazione e agli ideali comuni, tanto più può essere complessa da capire. Allo stesso tempo però è affascinante da indagare. Nell’accostarci a questo tema ci siamo interrogate sui Segni con i quali il Signore invita ad abbracciare la vita ecclesiastica: in quale momento del ciclo di vita sono apparsi, come si sono manifestati e l’accoglienza riservata a livello personale e familiare.
Monsignor Antonello Mura, Vescovo della Diocesi di Lanusei; Don Giorgio Cabras, Vicario Generale e Direttore della Caritas Diocesana e Don Ernest Beroby, parroco di San Gabriele Arcangelo in Villagrande Strisaili e Vicario giudiziale presso il Tribunale Ecclesiastico di Lanusei, ci hanno aiutato a comprendere questo lungo cammino di consapevolezza. Un percorso che richiede tempo, impegno e soprattutto vivere l’esperienza di questa chiamata.
In quale momento della vita ha avvertito la vocazione e come l’ha vissuta?
Monsignor Antonello Mura «Diciamo che sono arrivato… in tempo! Avevo 21 anni e quindi un’età abbastanza matura, coincidente con il periodo universitario. Ma quando il Signore chiama, così come quando un innamorato o innamorata viene coinvolto da un’esperienza d’amore, non c’è nulla da fare, bisogna dire di sì! Da allora l’ho vissuta con gratitudine al Signore e alla Chiesa: il primo mi ha chiamato, la seconda mi ha accolto, custodito e inviato, prima come seminarista, poi come sacerdote e ora come vescovo».
Don Giorgio Cabras «L’idea è maturata lentamente in me e spesso l’ho rimessa in questione soprattutto negli anni dell’adolescenza. Spessissimo poi negli anni del seminario ho rimeditato e rivisto questo pensiero. Sono stati fondamentali le figure di sacerdoti e guide davvero straordinari che mi hanno aiutato a capire i segni del passaggio di Dio nella mia vita. Anche gli studi, le esperienze fatte, le persone incontrate mi hanno fatto capire che Dio ha un progetto per ciascuno e a poco a poco ho capito che quello di Dio per me aveva a che fare con il sacerdozio. Quindi non c’è stato un momento di improvvisa e straordinaria illuminazione ma un cammino lento e graduale, pensato e ripensato, cucendo ogni cosa alla luce della Parola di Dio e della mia storia».
Don Ernest Beroby «Tutto ha avuto inizio nell’estate del 1993, durante un incontro spirituale dei giovani della mia parrocchia dove il vice parroco ci ha chiesto di meditare singolarmente un brano della Bibbia, e a me toccava una frase del Vangelo di Mc 10, 17: “ Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. La riflessione personale su questa Parola del Vangelo ha acceso in me la fiamma di Gesù. Da quell’incontro, la ricerca della volontà di Dio in me si è fatta più densa e mi ha spinto poi a fare un passo in avanti iniziando a frequentare alcuni percorsi vocazionali proposti dalla Diocesi. E questo periodo di primo discernimento è stato molto significativo e determinante perché mi ha permesso di confrontarmi seriamente con la scelta di entrare nell’accademia militare o nel Seminario. Alla fine vince sempre il Signore, anzi Egli stesso mi ha aiutato a scegliere la strada meglio per me».
Come ha comunicato in famiglia la ‘chiamata di Dio’ e come è stata accolta?
Monsignor Antonello Mura«Non è stato facile, mi vedevano già indirizzato in altre scelte. Ma dopo hanno capito che anche per loro, come per i genitori quando un figlio o una figlia lascia la casa per sposarsi, ci sono chiamate che devono essere accettate. Con riconoscenza».
Don Giorgio Cabras «Non è stato un problema comunicarlo alla mia famiglia, anzi, i miei genitori sono stati sempre molto contenti per la mia scelta. Riconosco che se mi sono aperto alla chiamata di Dio è anche merito loro. Devo ai miei genitori non solo il dono della vita ma anche la testimonianza forte e serena di una fede vissuta nella quotidianità con generosità e fiducia nella provvidenza. Ho imparato in famiglia il senso della condivisione e il valore della preghiera. Mi hanno sempre sostenuto nel mio cammino! Mi piace quanto Papa Francesco di recente ha detto “Questo vuol dire che non si può fare il prete credendo che uno è stato formato in laboratorio, no; incomincia in famiglia con la “tradizione” della fede e con tutta l’esperienza della famiglia».
Don Ernest Beroby «La mia più grande preoccupazione, nei primi passi della mia ricerca vocazionale, è stata quella di trovare un modo giusto come rivelare tutto alla mia famiglia, specialmente ai miei genitori. Inizialmente, avevo confidato i miei passi a mia zia, sorella di mio padre nonché mia madrina di Battesimo, la quale poi ha delicatamente parlato con mia madre invitandola a pregare per questa mia scelta. Così i miei genitori sono venuti a conoscenza della mia vocazione e sono rimasti sorpresi di questi miei passi, visto che fino a pochi giorni prima avevamo parlato ancora insieme del progetto “accademia militare” tanto caro a mio Papà. Sapevano bene, che con il dono del sacerdozio c’è una grande grazia; per questo mi chiesero di verificare gradualmente quale fosse la volontà del Signore su di me, facendomi aiutare dal Parroco con il quale i miei genitori avevano un legame di amicizia da anni».
La vocazione cristiana è un richiamo che non si può eludere, perché è un invito ad accogliere e lasciarsi guidare dall’Amore. Monsignor Antonello Mura sottolinea il grande potere di esortazione di questo sentimento «Le risposte all’amore di Dio sono tante quante sono le vocazioni. Ma la prima e l’unica risposta che conta, che riguarda tutte le chiamate non può che essere una: entusiasta, convinta, fedele. Perché quando l’Amore chiama non si può essere passivi o inerti; non ci sono né “se” né “ma” che tengano: tutto diventa fascinoso e misterioso, difficile da contenere così come da frenare o bloccare».
A cura di Anna Lisa Lai, Paola Diana.
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