La pesca di Esselunga e la famiglia del 2023, disunita e malinconica come non ce n’era bisogno

Una riflessione sul nuovo spot di Esselunga e il tentativo (fallito) di normalizzare le famiglie di genitori separati e divorziati.
Obiettivo raggiunto: tutti ne parlano, la pubblicità funziona. Stiamo parlando del nuovo spot di Esselunga la catena di supermercati attiva in molte regioni del centro-nord, Lombardia in particolare.
La trama è semplice. Una bambina si perde in un market e prende in mano una pesca senza chiedere il permesso alla mamma. Non un ovetto di cioccolato, ma una pesca e già questo è un dettaglio singolare. La mamma, accigliata e con i capelli arruffati (sarà un caso?), la ritrova e la rimprovera per essersi allontanata. Poi decide di accontentarla mettendo la pesca nel carrello, ma facendole presente che non deve più perdersi. La pesca passa nel nastro trasportatore e la bimba la osserva malinconica. Mamma e figlia tornano a casa, giocano e ridono insieme. Suona il citofono, è il papà. Emma scende e lo abbraccia, è evidente che i genitori sono separati o divorziati. “Ci vediamo stasera” le dice la mamma. Poi scruta la scena dalla finestra con aria pensierosa. L’ex marito saluta la donna con un’aria di sufficienza e fastidio. Seduta in macchina la piccola porge la pesca al papà. “Questa te la manda la mamma” dice Emma. Il papà capisce che forse non è andata proprio così, ma abbozza rispondendo: “Me la manda la mamma? E allora stasera la chiamerò per ringraziarla”. Poi si allaccia la cintura, dà un ultimo sguardo alla figlia che sorride al pensiero di aver aiutato i genitori ad andare un po’ più d’accordo, e parte verso chissà dove.
Le interpretazioni date a questo spot sono molteplici. Intanto è chiaro e oggettivo che Esselunga abbia voluto esplicitamente contrapporsi alla visione della cosiddetta “Famiglia Mulino Bianco”, quella composta da padre, madre e figli che fanno colazione felici intorno a un tavolo. Qui si tocca con mano la realtà condivisa da milioni di italiani, quella fatta di matrimoni falliti o archiviati e bambini che si dividono tra due case e genitori che non vanno più d’amore e d’accordo. Sicuramente va riconosciuto lo sforzo di uscire da uno schema di comunicazione che negli ultimi 70 anni è stato premiante e in tanti plaudono a questa scelta. I “ma” sono però parecchi.
Intanto c’è da segnalare il sottofondo malinconico di tutta la scena. Lo spot sembra quasi sottolineare che la separazione e il divorzio siano solo ed esclusivamente una situazione dolorosa o comunque difficile. Un approccio che non aiuta a normalizzare una situazione che è già normale per milioni di persone e che di contro ne coltiva lo stigma sociale. Per raccontare una storia capace di suscitare emozioni forti e contrastanti e quindi in grado di generare molto dibattito si è scelta una narrazione malinconica e ricca di pathos, non una quotidiana e allegra come quella della famiglia unita e felice. Ci sarebbe poi da affrontare un intero discorso sui ruoli stereotipici delle figure presenti nello spot che non aiutano certo la parificazione di genere: la mamma fa la spesa e sta a casa, la figlia vive (ovviamente) con lei e il padre è poco più di un “tassista” a cui però i figli vogliono tanto bene. Con loro trascorrono giusto qualche ora pomeridiana, poi tornano “al riparo del ventre materno”. Il gesto della bambina che usa una pesca per riappacificare il papà e la mamma è un messaggio che certifica – secondo gli autori dello spot – l’infelicità generalizzata di una situazione simile. Passa quasi in secondo piano un aspetto che in realtà è molto presente nello spot, ma che viene dato quasi per scontato: Emma trascorre momenti felici sia con la mamma che con il papà, a dimostrazione che la serenità di una famiglia non è possibile solo all’interno di un nucleo unito e coeso a tutti i costi. È sbagliato pensare – come stanno facendo in tanti – che “La Pesca” sia un inno indiretto alla famiglia tradizionale, ma lo si può ritenere un tentativo fallito o mancato di normalizzare le famiglie di genitori separati e divorziati.
Ma il vero problema che sta sfuggendo al dibattito appena divampato nelle reti sociali è la commercializzazione di situazioni di dolore e difficoltà realmente esistenti. Strizzare l’occhio a persone che vivono o hanno vissuto queste situazioni, farle commuovere, far rivivere loro il film malinconico e complicato di un matrimonio fallito non è forse un abuso della propria posizione di “venditori di pesche, cereali e filetti di branzino”?. Troppo spesso negli ultimi anni la necessità di vendere, accrescere il proprio brand e posizionarlo dove è più redditizio ha generato campagne pubblicitarie sicuramente riuscite, ma che entrano senza alcun diritto nei sentimenti e nella sensibilità delle persone. Riaprono ferite, rimasticano dolori. Per cosa? Per vendere una pesca in più? No, Esselunga, ti si preferiva quando parlavi di “Mille Lire lunghe”, “Prezzochiaro” e “Prezzi Corti”. Forse era un marketing più diretto e banale, ma almeno lì si era tutti uguali, con il proprio portafogli e il codice a barre da scansionare alla cassa.

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