Uno scritto di Kierkegaard risulta esemplificativo: “Si lamentino gli altri che questa è un’epoca malvagia: io mi lamento che è meschina, poiché è priva di passione. Ma la più alta passione dell’uomo è la fede”.
Nella sua essenzialità si tratta di un’affermazione che supera la stagione di chi l’ha scritta, raggiungendo anche la nostra, ciascuno di noi, spesso chiamati a fare i conti con le “passioni tristi” che ci abitano, e che dimorano abbondantemente in questa società.
Quando pensiamo alla Settimana Santa, in particolare al Triduo pasquale e quindi alla Pasqua di Gesù, immediatamente dovrebbe emergere che la qualità della nostra fede, oggi come sempre, è chiamata a misurarsi con la passione, morte e risurrezione di Colui che crediamo fonte della nostra maniera di essere pienamente credenti, integralmente cristiani.
Solo così potremo interrogarci sulla forza del Vangelo, anche quando l’impatto con la realtà sembra ridurre l’effetto di questa notizia sconvolgente: ci salviamo solo se amiamo, ci salviamo amando fino alla croce.
Un credente appassionato sa che ogni giorno deve vincere la tentazione della mediocrità, della diffidenza mista a indifferenza, come anche del disuso in atto di linguaggi e gesti di donazione, di impegno e di responsabilità. Chi coltiva un rapporto diretto con Gesù conosce il valore e il costo di un sovrappiù di passione e di amore per l’umanità. Appassionarsi è contemporaneamente sofferenza e amore.
É questo il “passaggio pasquale” a cui siamo continuamente chiamati: un itinerario mortevita costellato da infiniti getzemani e da un’esperienza costante di una fede crocifissa.
Una fede cioè messa alla prova, che va incontro allo smarrimento, e che deve misurarsi continuamente con le barriere create dai nostri occhi e desideri mondani, che preferirebbero una fede facile e senza dubbi, che più che affrontare i problemi desidera solo avere soluzioni per risolverli.
Per tutti si deve compiere, per comprendere la vita, quello che i mistici chiamano la notte della fede, quel che rimane cioè della fede quando la fede sembra venir meno.
Ma solo se siamo disposti a riconoscere i chiodi che ci mettono in croce perché amiamo; solo se individuiamo la lancia che trafigge il nostro costato, conseguenza di un cuore che si dona, solo allora possiamo dare un senso alla Pasqua, a quella di Gesù e alla nostra. Sono questi infatti i passaggi necessari per spiegare definitivamente il senso della vita e della fede. Passaggi di una fede crocifissa, e di un Dio che ci seduce chiedendoci di portare sulla
croce noi stessi, a immagine di Gesù, come un sacrificio vivente. E come il Cristo non si lascia bloccare, nell’attuare la sua missione, dal rifiuto e dalle avversità – sperimentando così la forza dell’affidamento al Padre e del suo amore – così anche ciascuno di noi nel “dare la vita”, nel vivere pienamente la propria chiamata, fa un’esperienza pasquale, consolante presenza di un Dio che mi tira fuori dai sepolcri rimasti senza luce né futuro.
La qualità della nostra fede si alimenta allora con la Pasqua, che non casualmente viene dopo “passione e morte”, e che va sempre coltivata dedicandole cura, tempo, intelligenza, affetto, relazione ecclesiale e una buona interpretazione della storia.
La passione della fede ci porta a vivere la fede con passione, per celebrarla con Cristo Risorto ancora una volta. Buona Pasqua.
Articolo del Vescovo Antonello Mura scritto per “L’Ogliastra”. Fonte: www.diocesilanusei.it
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