Suor Giuseppina: da Lanusei a Torino, la donna che imbrogliò i nazisti per salvare vite
Fu la guerra a far venire fuori il coraggio senza limiti di questa donna, ancora oggi troppo poco conosciuta.
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Nata in una casetta nel cuore di Lanusei nel 1902, nessuno immaginava cosa sarebbe diventata un giorno Rosa Demuro. Carattere forte e autorevole, ma con un gran cuore, la vita di Rosa assunse una piega nuova quando a vent’anni prese i voti ed entrò a far parte delle Figlie della Carità di Cagliari, diventando Suor Giuseppina. Non ci volle molto tempo perché si decidesse per un suo trasferimento a Torino.
Il suo temperamento era l’ideale per lavorare in un ambiente difficile come quello delle Carceri Nuove del capoluogo piemontese. Fra le celle e i suoi abitanti Suor Giuseppina trascorse quarant’anni, dedita com’era al servizio del prossimo, indipendentemente da chi fosse.
Ma fu la guerra a far venire fuori il coraggio senza limiti di questa donna, ancora oggi troppo poco conosciuta. Il carcere venne occupato dai nazisti, che ci instaurarono il famigerato Primo Braccio, luogo di detenzione e morte. Insieme ai normali detenuti, venivano stipati là dentro anche i detenuti politici, in un miscuglio di umanità senza criterio e senza tutele.
La personale missione di Suor Giuseppina fu quella di muoversi, sottraendosi grazie al suo ruolo alla diffidenza dei nazisti, per far scappare uomini, donne e bambini. Furono soprattutto le donne ebree a entrare nel cuore della religiosa, poco tutelate in quanto donne e perseguitate in quanto ebree. Si racconta di una giovane che venne fatta uscire dal Carcere inducendole una polmonite. La suora fece raccogliere alle altre detenute tutti i mozziconi di sigaretta lasciati per terra dai soldati, ne filtrò il catrame in acqua che fece bere alla donna, in modo che alla visita medica le sue condizioni fossero ritenute tali da doverla far uscire per curarla. Un bimbo di nove mesi venne invece sottratto alla follia nazista nascondendolo nel cesto dei panni sporchi in uscita dal carcere.
Furono anni durissimi, in cui Suor Giuseppina rischiò ogni giorno la sua vita per salvarla agli altri.
Temeraria com’era non ebbe timore nemmeno nei primi giorni della liberazione quando, tra il 25 e il 27 aprile 1945, a Le Nuove di Torino si respirava un clima di fermento. Stanca di aspettare l’ordine di scarcerazione per i detenuti politici, si sedette su una camionetta, attraversò la città ancora sotto il fuoco incrociato di partigiani e repubblichini, e piombò dal Prefetto per trattare la scarcerazione definitiva. Con gli stessi rischi tornò al carcere a comunicare ai detenuti la buona notizia.
Finita la guerra Suor Giuseppina continuò a stare tra quelle sbarre che per lei erano casa, dove, nel 1965, aspettò la morte.
Per queste gesta, tanto eroiche quanto profondamente umane, diversi premi le sono stati conferiti e oggi il suo nome è in lista per entrare a far parte dei Giusti fra le Nazioni, onorificenza che Israele riconosce a chi ha salvato anche solo un ebreo durante la Shoah.
Tra i mille motivi per ricordare questa donna straordinaria ce n’è un ultimo, non meno importante, che la lega alla particolare tutela delle donne. Nei primi anni ’50, per ovviare ai drammi delle donne che uscite dal carcere si ritrovavano per strada per mancanza di opportunità, fondò “La Casa del Cuore”, una delle primissime case protette in Italia. Qualche mese fa, in suo onore, l’Unione dei Comuni d’Ogliastra, ha intitolato a Suor Giuseppina il centro antiviolenza, mentre il Centro Femmilie di Lanusei le ha dedicato la giornata dell’otto marzo.
Di questa donna si potrebbero raccontare ancora mille aneddoti. Oggi il carcere in cui ha speso la sua vita è diventato un museo, in cui si trova tanto della sua storia e in cui si ricorda quanto coraggiosa e umana sia stata questa donna.
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“Cuore d’oro e coraggio da leone” è così che alcuni definisco Suor Giuseppina. Classe 1903 (secondo alcuni atti 1902), la religiosa, al secolo Rosa Demuro, nacque a Lanusei. Presi i voti a soli vent’anni entrò a far parte delle figlie della carità di Cagliari, ma il il suo temperamento determinato e profondamente umano, le fece guadagnare un posto nelle carceri di Torino. Le stesse in cui poi, durante la guerra, i nazisti aprirono un loro braccio, in cui finivano prigionieri politici destinati, prima o poi, alla morte.
Anche Chiara Appendino, sindaco di Torino, ha voluto rendere omaggio a questa figura, attraverso una lettera inviata ai relatori. Ma la grande sorpresa, preannunciata e svelata solo alla fine, è stata la presenza di Adriana Cantore, salvata dalla suora all’età di tredici mesi. La signora Adriana, commossa, ha raccontato al pubblico quanto deve a quella donna che, non si sa neanche bene come, trovò il modo di farla uscire dal carcere in cui era stata chiusa con la madre, nascondendole un biglietto nei vestiti affinché, una volta fuori, fosse messa in salvo da persone fidate.
