Roma Erotica. La scena capitolina della sessualità come atto politico
Una ricerca su erotismo ed identità nella capitale. Al via la nuova rubrica.
Roma Erotica. La scena capitolina della sessualità come atto politico.
Una ricerca su erotismo ed identità nella capitale. Al via la nuova rubrica.
La parola greca “eros” significa desiderio, mancanza, brama.
La Capitale offre numerose alternative dove è possibile entrare in connessione e sperimentare la sessualità, anche nelle sue diverse sfumature. Ma anche soltanto per vivere un’esperienza da osservatore senza essere necessariamente partecipante.
Il termine “kinky” significa “fuori dall’ordinario”, non convenzionale. In questa categoria possono rientrare ad esempio le pratiche BDSM che stanno per Bondage, Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sadismo e Masochismo, ma anche il Voyeurismo, l’Esibizionismo fino alla sessualità di gruppo.
Per quanto la maggior parte delle persone non si avvicini a all’esplorazione di tali esperienze, chi le attraversa con rispetto non è affatto un soggetto deviante, ma semplicemente come qualcuno che vive una delle possibili varianti del comportamento umano.
La cultura italiana, a differenza dei Paesi dell’Europa settentrionale, è intrisa di precetti e morale religiosa che rendono spesso difficile questo processo di accettazione.
Fin dagli anni ‘90 la Roma della scena Underground era ricca di iniziative che offrivano una proposta culturale della sessualità anche molto interessante dal punto di vista antropologico. Eventi come Phagoff, Extreme Gender Art, Amigdala, Lady Fest facevano (ed alcuni fanno, visto che ancora esistono) del “queering” un atto politico con proposte culturali, performative, letterarie e spazi di riflessione su temi come femminismo, transfemminismo, post-porn art.
Non è un caso ad esempio che l’evento “Phagoff” fosse organizzato da un socioantropologo come Francesco Macarone Palmieri.
“Queer” è un termine ombrello per indicare coloro che non sono eterosessuali e/o non sono cisgender, usato generalmente da una persona della comunità LGBTQ+ che non vuole dare un nome alla propria identità di genere e/o orientamento rifiutando etichette e convenzioni stereotipate. Il suo significato originario sta per “strano” e l’origine del termine era un insulto omofobo, ma la sua riappropriazione in senso di orgoglio (pride) ne ha rovesciato le intenzioni al punto da essere diffuso e comune.
La demonizzazione del “gender” è un assurdo paradosso in una società in continua evoluzione. In realtà poi neanche esisterebbe di per sé (non c’è alcuna teoria “gender”, semmai “queer” ed una branca della sociologia e sessuologia sono i cosiddetti “gender studies” dove si afferma che tutto ciò che siamo è frutto di una costruzione sociale). Tutto il resto è mera campagna politica volta a spaventare le masse aventi pochi strumenti, che tende a rifiutare ciò che non conosce, volta a orientare le persone verso un punto di vista ristretto e conservatore.
Attraverso questa rubrica inizieremo a conoscere protagonisti e iniziative che cercano di scardinare stereotipi sulla sessualità verso una maggiore consapevolezza di autodeterminazione e libertà.
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