“Lettere” ricorda Monica Vitti. Da rivista a caffè letterario trasteverino, fulcro della scena romana di giovani, artisti ed intellettuali

Siamo nello storico locale culturale “Lettere e Caffè” di Trastevere in via San Francesco a Ripa e siamo certi di essere nel posto giusto per ritrovare frammenti della straordinaria attrice che ci ha lasciati, a 90 anni, dopo una malattia degenerativa che distrugge i ricordi. Nessuno può però dimenticare le sue intense interpretazioni con alcuni tra i più grandi registi: Michelangelo Antonioni, Mario Monicelli, Alberto Sordi (solo per citarne alcuni) la scelsero come musa, ma fu anche autrice e regista. Un talento innato, vincitrice di cinque David di Donatello, tre Nastri d'argento, dodici Globi d'oro, un Ciak d'oro, un Leone d'oro alla carriera a Venezia, un Orso d'argento alla Berlinale, una Concha de Plata a San Sebastián ed una candidatura al premio BAFTA.
“Lettere” ricorda Monica Vitti. Da rivista a caffè letterario trasteverino, fulcro della scena romana di giovani, artisti ed intellettuali.
Articolo di Rita Chessa.
“Sto cercando tracce di Monica Vitti. Ordino un liquore al caffè”.
Siamo nello storico locale culturale “Lettere e Caffè” di Trastevere in via San Francesco a Ripa e siamo certi di essere nel posto giusto per ritrovare frammenti della straordinaria attrice che ci ha lasciati, a 90 anni, dopo una malattia degenerativa che distrugge i ricordi.
Nessuno può però dimenticare le sue intense interpretazioni con alcuni tra i più grandi registi: Michelangelo Antonioni, Mario Monicelli, Alberto Sordi (solo per citarne alcuni) la scelsero come musa, ma fu anche autrice e regista. Un talento innato, vincitrice di cinque David di Donatello, tre Nastri d’argento, dodici Globi d’oro, un Ciak d’oro, un Leone d’oro alla carriera a Venezia, un Orso d’argento alla Berlinale, una Concha de Plata a San Sebastián ed una candidatura al premio BAFTA.
Monica rivive nelle parole di Vincenza Renata Li Gioi, scrittrice, drammaturga, attrice e cofondatrice dello storico locale culturale dove si possono leggere libri, assistere a concerti, happening, poetry slam. Un luogo vivo, di confronto e ricerca ma anche di sana leggerezza e svago per comuni assidui frequentatori, personaggi noti, dove puoi inciampare in scene simili all’alterco tra Wittgenstein e Popper che discutono animatamente di filosofia armati di attizzatoio.
L’idea di cui ci parla Vincenza era la rivista “Lettere”, diretta da Saverio Tutino, biografo di Che Guevara. Un progetto che poteva vantare collaborazioni prestigiose come i disegnatori Riccardo Mannelli e Vauro. Monica Vitti prese parte al comitato scientifico e partecipò all’evento di presentazione insieme a Mario Monicelli.

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La rivista era aperta ai cittadini, che potevano liberamente proporre contenuti.

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“Presso la nostra redazione ai Parioli fioccavano continuamente missive di persone che volevano scrivere, ma ad un certo punto dopo qualche anno abbiamo dovuto chiudere. Il caffè letterario è sicuramente la continuazione di quel progetto, vede infatti la partecipazione di numerosi intellettuali, artisti affermati ed emergenti della scena romana e presto verrà realizzato un docu-film” ci confida Vincenza.
Continuiamo a cercare Monica per le vie di Trastevere, fino a via dei Fienaroli, per andare a vedere il murale comparso in suo onore. Arrivati sul posto, però, scopriamo che è stato già strappato via e sembra in modo simbolico ribadirci la lacerazione della sua perdita.
Lo sapevate? Chi è “Er Boja de Roma”, l’inquietante spettro di “Mastro Titta” che appare all’alba

Al solo sentir pronunciare il suo nome, Roma ancora trema. “Mastro Titta”, pseudonimo di Giovanni Battista Bugatti, dal 1796 al 1864, ha eseguito nella sua carriera di boia dello Stato Pontificio bel 514 condanne a morte. 68 anni dedicati ad uno dei mestieri più oscuri, ma non tutti sanno che, quando non era impiegato nelle esecuzioni, si procurava da vivere come venditore di ombrelli. Scopriamo insieme questo personaggio della Roma di una volta.
Lo sapevate? Chi è “Er Boja de Roma”, l’inquietante spettro di “Mastro Titta” che appare all’alba.
Articolo di Rita Chessa.
Al solo sentir pronunciare il suo nome, Roma ancora trema. “Mastro Titta”, pseudonimo di Giovanni Battista Bugatti, dal 1796 al 1864, ha eseguito nella sua carriera di boia dello Stato Pontificio bel 514 condanne a morte. 68 anni dedicati ad uno dei mestieri più oscuri, ma non tutti sanno che, quando non era impiegato nelle esecuzioni, si procurava da vivere come venditore di ombrelli. Scopriamo insieme questo personaggio della Roma di una volta.
La leggenda popolare racconta che è possibile incontrare il suo fantasma, avvolto dal mantello scarlatto, passeggiare verso l’alba nei luoghi dove giustiziava i condannati: piazza Bocca della Verità, Piazza del Popolo, Campo de’ Fiori e Ponte Sant’Angelo.
Qualcun altro afferma che per incrociare il suo spettro ci si può recare anche nella riva destra del Tevere, presso il rione Borgo, in vicolo del Campanile 2, indirizzo della casa dove viveva e che raramente lasciava. Per ovvi motivi era odiato da molti a Roma, al punto che gli fu vietato di recarsi in centro se non in occasione delle condanne a morte. È da qui che nasce il proverbio “boia nun passa ponte”.
“Signorina, gradisce una presa di tabacco o un sorso di vino?” è così che lo si immagina chiedere, nelle narrazioni delle sue mitologiche apparizioni, inquietante, stravagante e dimesso, impressionante nel suo essere magnanimo ad esaudire l’ultimo desiderio dei suoi condannati prima di trasformarsi in un macellaio.
L’unico posto, però, dove lo si può incontrare davvero è presso il Museo Criminologico di Roma dove è conservato ancora il suo mantello rosso.
Giuseppe Gioacchino Belli dedicò al boia diversi sonetti, numerosi sono i film a lui ispirati ed è anche uno dei personaggi chiave ne “Il Rugantino” di Garinei e Giovannini del 1962 (interpretato, tra gli altri, da Aldo Fabrizi).
Sia il poeta George Byron che lo scrittore Charles Dickens assistettero ai suoi supplizi, decapitazioni, squartamenti pubblici ed entrambi ne rilasciarono scioccate testimonianze nei loro scritti. Le sentenze di morte avvenivano dinanzi al popolo che si apprestava ad assistere all’orribile spettacolo considerato esemplare per i propri figli al punto che al momento della pena, i bambini ricevevano uno schiaffo di ammonimento. Situazioni raccapriccianti in contrasto con le idee illuministe che si stavano sviluppando in Europa nel XVIII secolo. Prima di ogni lavoro di sangue, Mastro Titta si confessava e riceveva la comunione: altra contraddizione paradossale, stavolta con il messaggio religioso, su cui dichiarava di fondarsi lo Stato Pontificio che all’epoca decretava le condanne. Incoerenze da retaggi medioevali già ampiamente documentate durante la Santa Inquisizione. Nello Stato della Chiesa la pena di morte fu praticata sino alla sua caduta, nel 1870, per poi tornare legale con i Patti Lateranenzi dal 1929 al 1969, in caso di tentato omicidio del Papa. Solo il 12 febbraio 2001 venne eliminata formalmente dalla Legge fondamentale, su proposta di Papa Giovanni Paolo II.
In Italia la condanna capitale per i reati commessi in tempo di pace è stata cancellata con l’avvento della Costituzione nel 1948. Ma solo con la legge costituzionale n. 2 del 2007 è stata abolita anche dal codice militare di guerra.
Attualmente il 98% delle condanne mortali nel mondo avviene in paesi autoritari e illiberali e secondo l’Associazione “Nessuno Tocchi Caino”, che si batte da anni contro le esecuzioni, la chiave per la soluzione del problema è l’affermazione mondiale dei diritti umani. Suo principale obiettivo è l’adesione alla moratoria universale ossia la sospensione, a tempo indeterminato, della messa in pratica delle sentenze capitali. Per ottenerla continua a mobilitare parlamenti, governi e opinioni pubbliche in tutto il mondo e nel tempo è stata accolta da un numero sempre più alto di Stati.

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