“Musselcalling”: non solo catcalling. Quando a esser gridato per strada è un insulto

Si è di frequente parlato di catcalling, molestie verbali a carattere sessuale, comportamento spesso attribuito anche ai cosiddetti “pappagalli romani”, uomini che ostentano corteggiamenti non graditi e inopportuni, ridicolizzati anche nei film di Carlo Verdone. E se ad essere gridato invece che un complimento squallido fosse un insulto sull’aspetto fisico? In questo articolo approfondiremo il “musselcalling”, fenomeno che va a braccetto con il “bodyshaming”.
“Musselcalling”: non solo catcalling. Quando a esser gridato per strada è un insulto.
Si è di frequente parlato di catcalling, molestie verbali a carattere sessuale, comportamento spesso attribuito anche ai cosiddetti “pappagalli romani”, uomini che ostentano corteggiamenti non graditi e inopportuni, ridicolizzati anche nei film di Carlo Verdone. E se ad essere gridato invece che un complimento squallido fosse un insulto sull’aspetto fisico? In questo articolo approfondiremo il “musselcalling”, fenomeno che va a braccetto con il “bodyshaming”.
“A bella! Sai che me piaci ‘na cifra?”
Abbiamo sentito spesso parlare di “catcalling”, una molestia verbale pubblica che consiste in complimenti non graditi, allusioni sessuali e corteggiamento insistente e inopportuno verso le donne in strada.
Se in Inghilterra si parla di reato, in Italia ed in particolare a Roma è stato a lungo un comportamento radicato nel costume dal dopoguerra fino a pochi anni fa, definito anche “pappagallismo”.
Carlo Verdone ha spesso ironizzato attraverso i suoi film questo patetico comportamento maschile presente in diverse scene di una sua pellicola del 1998 dal titolo “Gallo Cedrone”.
Secondo un articolo dell’associazione “Stop Street Harassment” le molestie di strada non sono soltanto azioni o commenti che hanno una connotazione sessuale, ma includono anche gli insulti che possono essere di origine omotransfobica ed altre considerazioni che prendono di mira etnia, religione, classe sociale e disabilità.
In questo articolo parleremo del “musselcalling” (da “mussel” ossia “cozza”), termine con cui Elena De Simone ha provato a definire la situazione spiacevole di quando per strada urlano un insulto che riguarda l’aspetto fisico. Afferma su Facebook: “Queste poesie che gli uomini ci dedicano sono frutto della validazione estetica che ogni donna subisce in tutti gli ambiti della vita. Stamani ho fatto una corsetta sotto casa e carinamente un uomo mi ha gentilmente fatto notare che non ero conforme ai suoi gusti (e per fortuna), urlando dal finestrino “Sei brutta!”, avrei potuto rispondere “grazie, altrettanto” ma ero troppo concentrata sul ritmo che il messaggio l’ho recepito in ritardo. Ora come viene percepito dagli altri il mio aspetto mi interessa davvero poco, se prima non mi facevo vedere da nessuno senza make up, tanto make up, ora sono rare le occasioni in cui mi trucco perché piacere alle persone non mi preoccupa più come prima, anzi. Quello che mi chiedo è: che impatto può avere questo atto di bullismo gratuito su una persona che ha delle fragilità a riguardo? In realtà lo so benissimo perché nel mio periodo fragile, quando mi nascondevo dietro un aspetto impeccabile, più volte mi sono sentita dire “fai schifo” ed era terribile, da togliermi il fiato, da voler sparire, per sempre”.
Il problema affonda le sue radici nel fatto che le donne culturalmente sono state spesso giudicate prettamente per il loro aspetto fisico ed è un comportamento che va a braccetto con il cosiddetto “bodyshaming” ossia “l’atto di deridere e/o discriminare una persona per il suo aspetto fisico”.
Basti pensare anche ai vari film di Fantozzi con Paolo Villaggio, dove uomini esteticamente discutibili definivano Pina e Mariangela come “bertucce”.
Un humus sociale che è spesso sfociato in fenomeni di bullismo.
“Ogni volta che in giro vedo una comitiva di ragazzi, cerco di cambiare strada. Ho paura che mi insultino per il fatto che sia troppo magra. Mi capita di soffrire d’ansia tutte le volte che entro dentro un locale. Non si è capito perché una donna debba essere sempre giudicata. Se entra un uomo in una stanza non subisce lo stesso trattamento, c’è una pressione sociale che porta le donne ad essere giudicate sul fatto che siano sexy o meno” dichiara Virginia, liceale.
Con l’avvento dei social il tutto si è spostato sul digitale, amplificato dal fenomeno di deresponsabilizzazione di chi pensa che chi si espone pubblicamente debba anche subire commenti pesanti.
Tutto questo ha il potere di portare conseguenze considerevoli: insicurezza, isolamento sociale, dismorfofobia, ossia la preoccupazione ossessiva spesso infondata per un presunto difetto fisico, fino a comportamenti estremi come il suicidio.

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