Donne di Roma. Virginia: tra abuso di potere e patria potestas

La storia di Verginia o Virginia del V secolo a.C. è stata fonte d’ispirazione per molte opere letterarie e teatrali nel corso dei secoli. Anche se probabilmente si tratta di una leggenda, è rappresentativa del ruolo della donna nel periodo della Repubblica Romana ed è riduttivo indicarla come un esempio della lotta per la libertà contro la tirannia.
Donne di Roma. Virginia: tra abuso di potere e patria potestas.
Donne di Roma. Virginia: tra abuso di potere e patria potestas.
La storia di Verginia (o Virginia) del V secolo a.C. è stata fonte d’ispirazione per molte opere letterarie e teatrali nel corso dei secoli. Anche se probabilmente si tratta di una leggenda, è rappresentativa del ruolo della donna nel periodo della Repubblica Romana ed è riduttivo indicarla come un esempio della lotta per la libertà contro la tirannia. Lo sarebbe stato se Virginia avesse avuto potere decisionale sulla propria esistenza e non fosse morta per mano del padre. Questa storia, nel tempo romanticizzata, in realtà pone al centro una questione fondamentale: la vita delle donne all’epoca era soggetta non solo al potere dell’elite aristocratica, ma anche al patriarcato.
Verginia era una giovane romana di grande bellezza, figlia di Lucio Virginio, un ufficiale plebeo dell’esercito e promessa in sposa a Lucio Icilio, un tribuno della plebe. Tuttavia, il decemviro Appio Claudio Crasso, uno dei dieci magistrati che governavano Roma in quel momento, si invaghì di lei. Appio Claudio cercò di far sua Verginia con un pretesto legale, orchestrando un piano per dichiararla priva di diritti: incaricò il suo cliente, Marco Claudio, di affermare che Verginia fosse una schiava nata nella sua casa. Durante un’udienza pubblica davanti al tribunale, Marco Claudio fece la sua falsa accusa e, grazie alla sua influenza, Appio Claudio sostenne la causa. Verginia era difesa dal fidanzato Lucio Icilio e da suo padre Lucio Virginio, che era giunto in città proprio per difenderla.
Nonostante le argomentazioni di Lucio Virginio e di Lucio Icilio, Appio Claudio, abusando del suo potere, decise a favore di Marco Claudio, decretando che Verginia fosse consegnata a quest’ultimo in attesa di un nuovo processo.
Lucio Virginio, rendendosi conto che non c’era modo di ottenere giustizia per sua figlia a causa del potere corrotto di Appio Claudio, decise di agire per impedire che Verginia fosse “disonorata”: prese un coltello da un venditore di carne nelle vicinanze e uccise sua figlia Verginia, dichiarando che questa era l’unica via per salvarla dalla vergogna.
La morte di Verginia scatenò un’ondata di indignazione tra il popolo romano. La folla, infuriata per l’abuso di potere da parte dei Decemviri, si sollevò contro Appio Claudio e gli altri magistrati. Lucio Virginio e Lucio Icilio guidarono la rivolta dei plebei. Alla fine, i Decemviri furono costretti a dimettersi, e Appio Claudio fu imprigionato per poi suicidarsi.
Descrivere questa storia come simbolo del sacrificio estremo per la libertà e la dignità personale è un errore: nel testo di Tito Livio, Ab urbe condita, III, 47 si racconta che il padre di Verginia dichiarò: “Mia figlia, Appio, l’ho promessa a Icilio e non a te, e l’ho allevata per le nozze, non per lo stupro. A te piace fare come le bestie e gli animali selvatici che si accoppiano a caso? Se questa gente lo permetterà, non lo so: ma spero che non lo permetteranno quelli che possiedono le armi!”.
Le parole “l’ho allevata per le nozze” presuppone che per la donna ci fosse un solo destino possibile: il passaggio di potere dal pater familias (che alla fine ne decreta anche la fine) al marito, dove il papà accusa il suo nemico di fare come le bestie, pur trattando sua figlia come tale in quanto “allevata per il matrimonio”. Del resto all’epoca, il “pater familias” aveva diritto di vita e di morte sulla propria progenie (ius vitae et necis) e quindi se lo riteneva opportuno poteva anche uccidere i propri figli senza alcuna conseguenza legale in caso di atti considerati irreparabili. Questo potere del capo famiglia si estendeva sulla moglie e sulle proprietà (vedi a tal proposito l’articolo su Vistanet riguardo i “figli affittabili” nell’antica Roma).
Nello stesso testo il padre afferma: “Così, figlia mia, io rivendico la tua libertà nell’unico modo a mia disposizione!”, come se non ci fosse potere decisionale sulla propria esistenza da parte della figlia, totalmente soggetta alla patria potestas, descritta in tutte le fonti solo per il suo aspetto fisico e quindi sottoposta a oggettificazione: “Icilio e Numitorio sollevarono il corpo esanime della ragazza e lo mostrarono al popolo, lamentando la scelleratezza di Appio, la bellezza funesta di Verginia e la necessità che aveva portato il padre a un simile gesto” (Tito Livio, Ab urbe condita, III, 48).
Qui si parla di “necessità”, ossia difendere a tutti i costi la “pudicitia”, valore della castità prematrimoniale considerato di estrema importanza nell’antica Roma, di cui Vistanet ha parlato in un precedente articolo che invitiamo a leggere.
Ciò che invece è davvero necessario è reinterpretare la Storia dal punto di vista femminile, dove le donne troppo spesso sono stare ridotte ad una funzione subalterna e decorativa.
In foto: Wikipedia, la morte di Virginia secondo il pittore Francesco De Mura, 1760

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