Rimini, a 81 anni fugge dalla Rsa e va al mare: “Basta mele cotte, rivoglio la libertà”
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Approfittando della distrazione del personale, un'anziana a Faenza è scappata dalla Rsa dove si trovava ricoverata, per prendere un treno e scappare in Riviera, dove da giovane trascorreva felice le vacanze.
Approfittando della distrazione del personale, un’anziana a Faenza è scappata dalla Rsa dove si trovava ricoverata, per prendere un treno e scappare in Riviera, dove da giovane trascorreva felice le vacanze.
Il freddo pungente e la difficoltà nel camminare non l’hanno fermata. Aveva un piano preciso e si era organizzata alla perfezione. Ma, giunta nell’albergo dove pernottava da ragazza, si è trovata davanti il primo imprevisto: la struttura era chiusa. Si è quindi recata in Chiesa, dove ha raccontato la sua storia e il suo malessere legato alla vita nella Rsa: “Basta mele cotte, minestrine e gente che urla la notte chiamando la mamma. Rivoglio la mia libertà”.
Una volta tranquillizzata, la signora che, secondo i medici della Rsa, non sarebbe sempre lucida e accuserebbe varie problematiche, è stata condotta in un posto sicuro, in attesa dell’arrivo dei familiari. La notizia della sua “fuga” è rimbalzata in tutti i quotidiani nazionali.
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“Sta ‘n campana” si dice a Roma. Ma da dove arriva questa espressione?
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“Stare in campana” è un’espressione del dialetto romano che si utilizza per invitare qualcuno a prestare attenzione, ma da dove arriva questo modo di dire?
“Me raccomando, sta ‘n campana”, si usa dire a Roma. È un’espressione che viene utilizzata quando si invita qualcuno a tenere gli occhi aperti, a prestare attenzione. Più che un invito è una sorta di raccomandazione, un premuroso modo di dire che esprime affetto e legame emotivo. Per conoscere l’origine di questo detto romano bisogna però fare un passo indietro.
Roma è la città delle chiese, ce ne sono oltre quattrocento (uno dei tanti primati mondiali della capitale d’Italia) e sono collocate in tutte le piazze romane, tutte tranne quella di Campo de Fiori. Vista la presenza massiccia di luoghi dedicati alla fede c’è da aspettarsi un cospicuo numero di campane, ce ne sono infatti circa 1260 (secondo un calcolo fatto nel 1907) e per decenni hanno scandito e accompagnato la vita quotidiana dei cittadini romani. Oggi risuonano come un sottofondo e a stento ci si accorge dei loro rintocchi ma le campane in passato hanno svolto una funzione sociale anche piuttosto importante. Senza cellulari e orologi da polso era il campanaro a scandire i tempi delle città; le campane non invitavano solamente i romani alla preghiera nelle ore canoniche ma segnavano lo scorrere delle ore durante il giorno. Non solo, la voce grossa del battocchio annunciava eventi e risuonava in caso di urgenze; prestare attenzione alle campane era piuttosto importante e un orecchio puntato ai suoi rintocchi era sempre bene averlo.
Esiste quindi una relazione tra l’importanza di prestare attenzione alle campane e il detto “stare in campana”?
Con buona probabilità si, anche se non si hanno delle evidenze scientifiche. Le campane avevano un loro codice e i rintocchi suonavano delle ritmiche diverse a seconda delle situazioni. Erano un richiamo all’attenzione pubblica in caso di pericolo imminente come incendi, invasioni o minacce legate a calamità naturali. Ecco perché, presumibilmente, “stare in campana” è un chiaro riferimento allo “stare attenti al suono della campana”, l’unica, tempo addietro, in grado di avvisarci e proteggerci. A conferma di questa tesi ci viene in aiuto anche un altro detto legato all’accudimento e alla protezione: “Stare sotto una campana di vetro”. L’origine sembra essere la stessa infatti anche se in questa ultima espressione si nasconde spesso un eccesso di premura.
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