Lo sapevate? A Roma c’è un ponte fantasma

La storia del ponte fantasma a Roma.
Lo sapevate? A Roma c’è un ponte fantasma.
Era il 1962 quando a causa del cedimento di un pilastro del Ponte flaminio Roma aveva bisogno di una struttura che potesse collegare le due sponde del Tevere nel quartiere Tor Di Quinto. La progettazione di questa nuova connessione fu affidata all’ingegnere britannico Donald Bailey considerata la sua esperienza bellica e quindi in grado di realizzare una passerella che potesse essere montata e smontata in breve tempo. Nel 1964 venne ripristinato il viadotto Flaminio e Il ponte Bailey divenne un servizio supplementare per la viabilità romana. Negli anni ’60 venne poi rimosso, ad eccezione di tre pilastri che ancora oggi rimangono immersi nelle acque del fiume Tevere.
Nel corso degli anni si discusse a più riprese di come riutilizzare quel che rimaneva del vecchio Ponte Bailey, progetti e congetture però rimaste sempre chiuse nei cassetti del Campidoglio. Il primo tentativo fu presentato nel 2007 da Sandro Bari, Presidente del Comitato per il Tevere, e dall’architetto Francesca Di Castro.
Ponte Nuovo era il nome di battesimo del progetto. Doveva essere il primo ponte coperto di Roma, esclusivamente pedonale e realizzato in legno, un collegamento che consentisse non solo di valicare il fiume ma avrebbe dovuto ospitare anche delle zone sociali dove interagire e dedicarsi a momenti di svago e leggerezza. Il parere tecnico dei progettisti era che la struttura in legno non fosse solo pratica e veloce da montare ma riuscisse a dialogare con il contesto ambientale che l’avrebbe accolta, considerando anche che allora era in previsione la creazione di un’oasi naturale che si sarebbe estesa fino a Ponte Milvio. Il progetto prevedeva un ponte con una lunghezza di 150 metri dotato di un corridoio laterale arredato con delle sedute. La struttura avrebbe anche accolto un centro didattico, delle librerie, dei punti ristoro e delle aree destinate ad eventi culturali. L’idea di valorizzazione dei resti del Ponte Bailey vide presto il tramonto e finì con l’essere dimenticata.
Nel 2011 tornò di tendenza il tema di riutilizzo dei 3 pilastri, questa volta nell’ambito del concorso “Premio vocazione Roma”. Lo studio di Francesco Napolitano e Simone Lanaro ipotizzò un progetto che vedeva l’amministrazione pubblica sostenere economicamente l’investimento di un privato per la demolizione di due piloni e il riutilizzo del terzo per la costruzione di una piazza pubblica posizionata al centro del fiume. La struttura sarebbe poi stata munita di un bar ed altre attività di ristoro. Il progetto, secondo gli architetti, era finalizzato non solo alla riqualificazione dell’area ma anche alla creazione di posti di lavoro derivanti dalle attività commerciali.
Archiviata anche questa possibilità, sempre nel 2011 l’amministrazione Almenno tentò di mettere in campo delle azioni per donare una nuova vita ai ruderi del Ponte. La maggioranza capitolina era intenzionata a realizzare una struttura sospesa dedicata al tempo libero. Il “Progetto Arca”, cosi venne chiamato, aveva un costo di 35 milioni di euro di cui 8 sarebbero stati finanziati dal comune. La restante parte doveva essere coperta dal vincitore di un bando che avrebbe dovuto occuparsi di progettare un’area che potesse ospitare eventi culturali, sportivi e un parcheggio di circa 500 posti auto. È facile immaginare che anche questo tentativo, cosi come i precedenti, conobbe il fallimento.
Non è possibile sapere se i 3 pilastri del ponte edificato nel 1962 troveranno una seconda vita, ma con il passare il tempo si avvalora l’idea che possano diventare materiale per il libri di storia.

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