Piatti tipici della cucina romana e cinema. La “Pajata” ne “Il Marchese del Grillo” di Monicelli con Alberto Sordi

Una gustosissima tradizione romanesca tra budella, latte e pasta al pomodoro citata anche nel film con il grande Albertone
Piatti tipici della cucina romana e cinema. La “Pajata” ne “Il Marchese del Grillo” di Monicelli con Alberto Sordi.
Incipit: Una gustosissima tradizione romanesca tra budella, latte e pasta al pomodoro citata anche nel film con il grande Albertone.
La Pajata è un piatto particolare e tipico della cucina romana. Rientra nella famiglia delle “frattaglie”, infatti riguarda l’intestino tenue del vitello da latte che normalmente viene chiamata duodeno e che contiene il chimo, il latte materno cagliato che somiglia a ricotta di cui si è nutrito il vitellino. Una ricetta classica con la pajata è servita accompagnata da rigatoni al sugo soffritto mondando la cipolla, carota e sedano, uno spicchio d’aglio.
L’intestino viene o lasciato aperto a condire ulteriormente la salsa o cucito a nodino.
In una scena del film “Il Marchese del Grillo” di Mario Monicelli, Alberto Sordi etichetta come “escrementi” il piatto, in quanto budella con in effetti contenuto cibo in digestione. La definizione è tuttavia non proprio corretta, in quanto il duodeno viene pulito con cura.
I rigatoni alla pajata sono estremamente gustosi. La carne viene cotta a fuoco lento ed in questo modo diventerà molto morbida e tenera. Una tecnica per rendere il sapore migliore è quella di sfumarla con il vino bianco e di aggiungere alla passata di pomodoro il peperoncino.
Pomodoro e carne si lasciano cuocere a fuoco basso per circa 2 ore. La pasta si fa scolare, si condisce con il sugo e la carne e si aggiunge alla fine il pecorino. Una versione più contemporanea prevede l’aggiunta anche di chiodi di garofano.
Dal 2001 al 2015, per ben 14 anni, la Pajata era stata messa a bando dall’Unione europea in seguito all’allarme Mucca pazza. Un via libera che era stato festeggiato dalle donne della Coldiretti nella sede dell’organizzazione a Palazzo Rospigliosi con la preparazione di una maxipajata.
Si tratta di un preparato che ha origine dalla cucina povera, dove la miseria non permetteva di buttare nulla dell’animale. Ed ancora una volta, la cucina popolare ci restituisce una vera e propria leccornia. La versione originale risale alla tradizione ebraica – romanesca del 1500. Gli ebrei la preparavano, ovviamente senza aggiungere pomodoro e pecorino finale.
Uno dei passaggi più interessanti è il legaggio dell’intestino, generalmente tagliato in pezzi lunghi circa 30 cm, per poi essere fissato alle estremità con la pelle creando la forma di una ciambella.
Un’alternativa è consumarla come secondo, cucinata in umido, arrosto, in padella o alla brace.

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