Lo sapevate? Nell’antica Roma non importava l’orientamento sessuale, ma avere un ruolo “attivo” a letto

Una società patriarcale dove la sfera sessuale era fondamentale ma bisognava attenersi a regole ben definite. Parola d'ordine: dominazione.
Lo sapevate? Nell’antica Roma non importava l’orientamento sessuale, ma avere un ruolo “attivo” a letto.
Una società patriarcale dove la sfera sessuale era fondamentale ma bisognava attenersi a regole ben definite. Parola d’ordine: dominazione.
A Roma si credeva che il sesso fosse un dono della dea Venere, ma ci si doveva attenere a delle regole riguardanti il comportamento da mantenere in pubblico. Documenti diretti e indiretti giungono dall’archeologia e dai reperti storici.
La società romana era strutturata in maniera patriarcale ed era ben visto chi manteneva il ruolo da dominante (colui che penetra) indipendentemente se ad essere dominato fosse un uomo o una donna. Non esisteva anche nel linguaggio un corrispettivo dei nostri termini “omosessuale”, “bisessuale” o “eterosessuale”, l’importante è che l’uomo avesse un ruolo attivo nei confronti di coloro che appartenevano ad un rango sociale inferiore. Qualora si assumesse invece un ruolo “passivo” con persone dello stesso sesso appartenenti ad un ceto più basso (schiavi, prostitute) si era nel peggiore dei casi passibili punito con la pena capitale. La cosiddetta “licenza sessuale illimitata” che si pensa appartenesse quindi al mondo romano non corrisponde effettivamente alla realtà, in quanto rispondeva a codici ben definiti. Un’altra pratica considerata deprecabile era il sesso orale fatto da un uomo verso una donna, sia perché secondo la assurda visione patriarcale l’uomo si sarebbe abbassato di grado a servizio di un essere femminile, sia perché la bocca doveva essere usata solo per le attività pubbliche, oratorie, di comunicazione e non doveva essere “macchiata” da attività considerate discutibili. Di contro, era considerato irrilevante che un uomo adulto potesse essere attratto da adolescenti. L’importante era mantenere sempre come già detto un ruolo “attivo” e non apparire “effemminato” nei modi, nell’aspetto e negli atteggiamenti.
Il pudore “pubblico” era un elemento fondamentale nella regolazione del comportamento, sia per le donne che per gli uomini e la cattiva condotta sessuale poteva comportare la perdita di cariche politiche pubbliche. Ad esempio Marco Tullio Cicerone attaccò in Senato Gaio Giulio Cesare accusandolo di avere una sessualità incerta e quindi a suo parere non attendibile nel ricoprire ruoli statali. In un precedente articolo abbiamo parlato della storia di Cesare con Cleopatra, ma in gioventù sembrerebbe che avesse attirato l’attenzione del re di Bitinia, Nicomede IV. Inoltre, veniva considerato dal popolo “marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti”.
Esteticamente era considerato attraente il “villo”, ossia l’uomo con i peli e bei capelli, mentre la calvizie non era ben vista. I romani gradivano le donne con il seno piccolo ed i fianchi larghi.
Queste ultime dovevano rispondere a un’etica rigida, dove la sessualità doveva essere finalizzata alla riproduzione più che al piacere. Una disparità con il genere maschile che arriva fino ai nostri giorni, dove pudicizia e castità sono considerate un valore per la donna, mentre l’uomo, in latino “vir” (da cui “virile”) poteva permettersi di essere promiscuo. La donna quindi doveva invece essere dotata di autocontrollo, ma feconda nel matrimonio, in quanto utile per la nascita di altri uomini.
La prostituzione era diffusa, legale e si consumava nei lupanari. La pornografia era vista di buon occhio, erano molte le raffigurazioni artistiche e pittoriche di soggetti in atteggiamenti sessuali (pensiamo a Pompei ed Ercolano) anche su oggetti di uso quotidiano e la sessualità aveva un ruolo importante nel pensiero religioso romano, al punto che tra gli oggetti di culto vi era il “fallo sacro” ed esistevano riti di fertilità che venivano celebrati durante i lupercali, festa dedicata a Romolo e Remo durante il mese di febbraio.

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