Lo sapevate? Il grande Fellini dedicò un film interamente alla città di Roma

Il grande regista romagnolo realizzò uno splendido omaggio celebrativo alla Capitale (la madre di Fellini era romana). La pellicola, parzialmente autobiografica, sottolinea la duplice natura di Roma, città sacra e profana allo stesso tempo.
Il grande regista romagnolo realizzò uno splendido omaggio celebrativo alla Capitale (la madre di Fellini era romana). La pellicola, parzialmente autobiografica, sottolinea la duplice natura di Roma, città sacra e profana allo stesso tempo.
Il film è un ritratto brioso e visionario di Roma, attraverso i ricordi di un giovane provinciale che arriva alla stazione Termini poco prima della seconda guerra mondiale. Roma come realtà composita, inesauribile e contraddittoria, qui rappresentata mediante una serie di quadri e personaggi eterogenei, dal defilé di abiti ecclesiastici alla ricostruzione delle case chiuse, dagli scontri con la polizia all’ingorgo notturno sul Grande Raccordo Anulare; mentre lo stile passa dal lirismo alla satira, dalla nostalgia alla truculenza senza soluzione di continuità.
Ritratto crudele, visionario, a blocchi di sequenze pressoché autonome, con alla base un’ispirazione autobiografica, sulla Roma degli anni ’30 del Fascismo, vista attraverso i ricordi di Moraldo-Fellini, e su quella degli anni ’70. Specchio del rapporto tenero e disgustato di Fellini con Roma-città-donna. E un documentario fantastico dove tutto diventa spettacolo, festa, carosello, anche se attraversato da segni e immagini di morte.
Tra le diverse parti non vi è alcun legame, si va da un soggetto all’altro senza transizione. Un’attenta visione della città vista da Fellini che ci fa viaggiare in luoghi impensabili come il piccolo teatro dove si svolge uno spettacolo di cabaret.
Lo stabile di Via Albalonga fu interamente riprodotto nel Teatro 5 di Cinecittà. Il film, come tante opere di Fellini, è intriso di ricordi autobiografici. In un’intervista rilasciata durante la lavorazione, il regista dichiarò: «In un pomeriggio di ottobre del 1938 arrivai alla stazione, salii su una carrozzella e andai in Via Albalonga, rione San Giovanni. La prima cosa che mi capitò, scendendo dalla carrozzella davanti al numero 13 in cerca dell’affittacamere, fu di prendere uno sputo in testa da tre ragazzini che non si sono neppure ritirati dalla finestra. Fu la scoperta del romano, l’antico suddito papalino che vive in una città improbabile cresciutagli attorno a tradimento, uno che non si fida di dire la verità perché “non si sa mai”, pauroso per timori atavici, un uomo dalle prospettive molto ravvicinate, attorniato da storia e monumenti ma rapportato soltanto alle consuetudini quotidiane e alla tribù familiare: mamma, sorelle, nonni, nipoti, zia.» Tra i protagonisti Anna Magnani, lo stesso Fellini, Alvaro Vitali. Tra le comparse del film recitarono anche gli allora sconosciuti Eleonora Giorgi e Renato Zero.
Che Roma, per Fellini, sia stata una metafora del corpo materno (sua madre era romana) non è certo una novità. Nel 1965, in un’intervista al “New Yorker”, raccontò il suo arrivo a Roma da diciassettenne come la sensazione di essere finalmente a casa. Roma non era una città, era il suo appartamento privato, le strade erano corridoi. Roma è ancora la madre, aggiunse Fellini, Roma ti protegge.

© RIPRODUZIONE RISERVATA