Lo sapevate? Nella chiesa di San Bartolomeo a Roma c’è un pozzo dalle acque considerate miracolose

Nella chiesa di San Bartolomeo sull’isola Tiberina, c’è un pozzo di marmo bianco dal quale, si narra, sgorgano acque curative contro la peste.
Lo sapevate? Nella chiesa di San Bartolomeo a Roma c’è un pozzo dalle acque considerate miracolose.
Articolo di Rita Chessa.
L’uomo ha attribuito all’acqua, fin dalla notte dei tempi, proprietà divine. Si tratta di un culto che ritroviamo in tutte le culture del mondo. I pozzi sacri risalgono all’Età del bronzo e alla prima Età del Ferro, configurandosi in una sorta di “scrigno” per la venerazione delle acque.
Nella chiesa di San Bartolomeo sull’isola Tiberina, c’è un pozzo di marmo bianco dal quale, si narra, sgorgano acque curative contro la peste. Già nella cultura Assiro-babilonese, troviamo riferimenti al culto: il medico era denominato “Asu” ossia, “colui che conosce l’acqua”. Il mito è proseguito in epoca pagana (ritrovando fondamento concreto con le acque termali), fino alla trasposizione di “acqua santa” nella religione cristiana. Tale approccio torna anche con i primi rudimenti della medicina: Ippocrate, del resto, curava diverse malattie utilizzando l’acqua.
Il pozzo sacro è risalente alla fine del X secolo, ed è derivato da un rocchio romano intagliato con immagini di Cristo, Ottone III, San Bartolomeo e sant’Adalberto. Si trova su una falda acquifera sotto la scalinata del presbiterio e, seppur d’epoca romana, ha subito una riappropriazione dalla religione cristiana nel periodo medioevale. Sopra il marmo si può leggere: “Ospu-tei s(an)cti circundant”, ossia “i santi in cerchio circondano la bocca del pozzo”.
La basilica di “San Bartolomeo all’Isola” fu costruita verso la fine del X secolo per volontà dell’imperatore germanico Ottone III, in onore dell’amico martire Sant’Adalberto sulle rovine del Tempio di Esculapio e della fonte d’acqua sacra al dio a cui venivano attribuite proprietà taumaturgiche. Il Tempio era originariamente dedicato al dio Asclepio della medicina e venne elevato in seguito alla terribile epidemia di peste che colpì Roma nel 293 a.C.
Nel 1180 giunsero sull’isola Tiberina i resti falsamente attribuiti a San Bartolomeo e l’acqua del pozzo ritornò ad essere considerata miracolosa.
In realtà, essendo l’acqua putrida ed inquinata, fu causa della morte di diverse persone ed il pozzo venne chiuso con delle sbarre di bronzo.
Prima di essere sigillato fu trasformato anche in fonte battesimale ed ancora adesso è visitabile recandosi nella chiesa avente più di 1000 anni di storia.
“Pensa che bello se avesse la possibilità di guarirci dalla pandemia” ci dice una dolce vecchietta venuta a pregare nella chiesa di San Bartolomeo, dal 1993 affidata alla Comunità di Sant’Egidio, un movimento internazionale di laici, che si fonda su preghiera, poveri e pace. E presto andremo a conoscere anche la loro storia.

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Lo sapevate? Nel giorno della Pentecoste i vigili del fuoco lanciano dei petali di rosa dall’occhio del Pantheon

La poetica tradizione nel giorno della Pentecoste a Roma. Come avviene la caduta dei petali di rosa? A gestirla sono i vigili del fuoco da un’altezza di 43 metri. Posizionati in modo da riuscire a svuotare 12 sacchi dall’oculus, li gettano sui fedeli che prima della pandemia si recavano ogni anno all’imperdibile appuntamento romano che ha una storia di 2000 anni, pur avendo avuto, nel corso dei secoli, diverse sospensioni e riprese.
Petali di rose rosse dall’occhio del Pantheon: la poetica tradizione nel giorno della Pentecoste.
Articolo di Rita Chessa.
Il foro del Pantheon è come un grande occhio che osserva, un turbine nel “tempio di tutti gli dei” dedicato a tutte le divinità passate, presenti e future, fondato nel 27 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa. Sdraiati in posizione supina al centro dell’edificio, tra i più rappresentativi della Roma antica, per rubare i dettagli con gli occhi, ricordiamo quando per il giorno della Pentecoste di giugno, è usanza far piovere migliaia di petali di rose dall’oculo. Mistificando la realtà, vorremmo che la ricorrenza fosse anche un omaggio a Raffaello Sanzio e ad Annibale Carracci, sepolti all’interno, divini tra i divini.
La poetica tradizione nel giorno della Pentecoste a Roma. Come avviene la caduta dei petali di rosa? A gestirla sono i vigili del fuoco da un’altezza di 43 metri. Posizionati in modo da riuscire a svuotare 12 sacchi dall’oculus, li gettano sui fedeli che prima della pandemia si recavano ogni anno all’imperdibile appuntamento romano che ha una storia di 2000 anni, pur avendo avuto, nel corso dei secoli, diverse sospensioni e riprese.
L’utilizzo di petali di rose rosse rimanda alla simbologia del sangue, dell’amore e dello spirito santo ed affonda le sue radici nel mito greco.
Adone era un giovane dalla bellezza sconvolgente, al punto che anche la dea dell’amore Afrodite ne rimase ammaliata. Afrodite però era amante di Ares, il Dio della Guerra, e corteggiata da Apollo. Ares e Apollo, gelosi, gettarono quindi un maleficio ed Adone morì ucciso da un cinghiale.
Afrodite corse quindi disperata verso il corpo esanime del ragazzo, ma si ferì a causa di un rovo di spine. Il suo sangue diede origine a meravigliose rose rosse, mentre dal corpo di Adone nacquero colorati Anemoni.
Appurato che l’”effetto camino”, secondo cui la pioggia non riuscirebbe ad entrare dal foro del Pantheon, è in realtà una falsità che risale al periodo in cui migliaia di candele illuminavano questo luogo nebulizzando le gocce, chiudiamo gli occhi e vediamo navi cariche di granito e marmo bianco pentelico, usati per costruire le colonne della facciata, attraversare il mare dalle cave egiziane di Assuan e dalla Grecia.
Nel Pantheon quindi piove e non solo acqua: la Pentecoste è prevista per il 5 giugno e se l’appuntamento non verrà cancellato, sempre a causa della pandemia, avremo modo di godere del bellissimo spettacolo che segue le funzioni religiose: frammenti di fiore rovineranno sui nostri volti e corpi dall’apertura circolare larga 9 metri di diametro che diffonde luce e calore all’interno del Tempio. Come un occhio che piange lacrime di sangue.

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