Lasciamoci trascinare dalle acque del Tevere: il fiume come preziosa risorsa storica e naturalistica a Roma

L'importanza del fiume Tevere per i romani. Una risorsa fantastica, spesso bistrattata.
Lasciamoci trascinare dalle acque del Tevere: il fiume come preziosa risorsa storica e naturalistica a Roma.
Articolo di Rita Chessa.
“Io sono quello che vedi radere le sponde con pieno corso e attraversare ricchi campi il ceruleo Tevere, tra i fiumi il più gradito al cielo qui è la mia grande dimora e la mia foce scaturisce tra nobili città” scriveva Virgilio intorno al 43 a.c.
Forse riuscì a vedere con i propri occhi le inondazioni che per secoli allagarono la città a causa della furia e le piene del Tevere.
Il fiume era chiamato anticamente dapprima Albula, in riferimento al suo colore biondo, poi Rumon dagli etruschi ed infine Tiberis. In epoca romana era considerato una divinità e celebrato l’8 dicembre con riti propiziatori. Nel II secolo d.c. i mulini ad acqua erano posizionati in riva per la lavorazione della farina azionati con la forza dell’acqua.
Fino agli anni Sessanta nell’acqua nel Tevere era possibile fare il bagno, le nonne raccontano che andavano a lavare i panni al fiume, un tempo “biondo”, ed ora “verdastro”. Non tutti sanno però che il cambio di colore è causato dalle alghe e dai depositi della diga di Corbara e che le acque sono limpide fino a che non giungono nella metropoli.
Ancora adesso è possibile incontrare i “fiumaroli” che vivono sulle rive del Tevere. Citati anche nella canzone “Barcarolo romano”, si dedicano alla pesca spesso in solitaria sugli argini. Hanno in genere un secondo lavoro, ma la vita sul fiume costituisce un pilastro della loro identità. Anche i vari “Mister OK” che si sono succeduti nel corso degli anni, portando avanti la tradizione del tuffo di capodanno nel Tevere, sono annoverati tra i fiumaroli.
“Un tempo il loro pescato era considerato un fiore all’occhiello dei ristoranti costosi, ora la maggior parte delle persone storce il naso all’idea di cucinare quel pesce” Ci racconta Piero, da un ristorante di via della Lungara a Trastevere.
Sono in pochi ad essere a conoscenza del fatto che ancora adesso il fiume brulica di vita, ricco di pesci nonostante il problema dell’inquinamento sia spesso oggetto di discussione. Béguinot fu Il primo botanico ad interessarsi della flora del Tevere all’inizio del 1900 e gli studi sono continuati fino ai giorni nostri.
Ci troviamo di notte a fotografare da vicino l’isola Tiberina ed intorno a noi ci sono gabbiani, cormorani, un surmolotto ed una nutria che sembrano voler dare il proprio contributo ad una narrazione che consideri il fiume come risorsa da proteggere.
Ci spostiamo a Lungotevere Dante, particolarmente fiorente dal punto di vista naturalistico, È un tratto di fiume che si trova in zona Ostiense vicino Valco San Paolo caratterizzato da una ricchissima vegetazione ripariale composta da salici e pioppi e dove vi abitano e nidificano numerosi uccelli e specie acquatiche. Tipici del luogo querce, piante spontanee, canneti, sambuchi, ginestre e gelsi.
Nonostante ci si trovi a due passi dal centro storico, Lungotevere Dante conserva una notevole superficie di pianura alluvionale con campagna non ancora oggetto di vasta urbanizzazione con pochissime palazzine.
“Qui le persone si dedicano agli orti urbani, è il sogno della campagna nel cuore della città” ci confida con orgoglio Flavia, già sveglia per portare fuori il cane. E decidiamo quindi di rimanere un po’ più a lungo ad osservare ed ascoltare tempo e vita scorrere.

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Lo sapevate? Lo stadio Pietrangeli a Roma è considerato il campo da tennis più bello al mondo dove giocare a tennis

Esiste un luogo, incastonato nel cuore di Roma, che nessun campo da tennis nel mondo, per quanto spettacolare o architettonicamente ambizioso, potrà mai eguagliare: lo stadio Nicola Pietrangeli. Lo chiamano il campo più bello al mondo dove giocare a tennis, e non a caso.
Lo sapevate? Lo stadio Pietrangeli a Roma è considerato il campo da tennis più bello al mondo dove giocare a tennis.
Esiste un luogo, incastonato nel cuore di Roma, che nessun campo da tennis nel mondo, per quanto spettacolare o architettonicamente ambizioso, potrà mai eguagliare: lo stadio Nicola Pietrangeli. Lo chiamano il campo più bello al mondo dove giocare a tennis, e non a caso.
Non c’è eliporto, grattacielo o isola artificiale che tenga. Non bastano progetti faraonici o architetti visionari per replicare quello che solo il Pietrangeli possiede: l’anima. Perché puoi replicare tutto, tranne l’atmosfera che qui si respira. Per questo, per scattare la più bella foto mai vista di un campo da tennis, bisogna venire a Roma. Bisogna venire qui. Tra le architetture moderne degli stadi internazionali, lo Stadio Pietrangeli continua a imporsi come un’icona: costruito tra il 1931 e il 1933 su progetto dell’architetto Enrico Del Debbio, nel complesso monumentale del Foro Italico, è rimasto immobile nel tempo, testimone silenzioso delle stagioni che cambiano e degli applausi che non smettono mai. Laddove il vecchio Centrale in legno lamellare è stato demolito, dove l’Arena Supertennis viene smontata e rimontata ogni anno e nuovi campi da allenamento spuntano come nuove foglie, il Pietrangeli è rimasto fedele a se stesso. Fermo, saldo, sempre nel cuore del Foro, e nel cuore dei romani. Prima di essere dedicato alla leggenda azzurra Nicola Pietrangeli, era conosciuto come Stadio della Pallacorda. Un piccolo anfiteatro da 3720 posti, secondo quanto dichiara il CONI, con gradinate in marmo bianco – scarti delle cave di Carrara – e sedute angolari. Le aiuole che delimitano il campo, le statue marmoree poste in cerchio sopra l’ellisse del campo, a sorvegliarlo dall’alto: ogni dettaglio è una carezza alla memoria. Le statue vengono ripulite con cura all’inizio di ogni torneo, splendono candide sullo sfondo verde smeraldo del prato. E quando scendi le scale del Pietrangeli per la prima volta, ti accorgi che non è solo tennis. È un’emozione, un battito che accelera. Da una parte Monte Mario, dall’altra lo sguardo si apre verso il Tevere. A destra lo Stadio Olimpico, a sinistra il nuovo Centrale. E tu, giù, quasi all’altezza dei giocatori, con la traiettoria della pallina davanti a te come fosse disegnata su un foglio. È qui che capisci perché i tennisti lo amano. Sul Pietrangeli, il cartellone degli sponsor dietro i giocatori è basso, poco più di un metro. Nessun fondale uniforme che aiuti a distinguere la palla. Solo una marea colorata di maglie e cappellini, viva, umana. Ma i tennisti lo accettano, anzi lo vogliono. Perché il Pietrangeli ti mette a contatto diretto con la passione del pubblico. Il calore dei tifosi è lì, a pochi metri.

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