Lo sapevate? Nella Roma antica la verginità maschile era qualcosa di inaccettabile

Lo sapevate? Nella Roma antica la verginità maschile era qualcosa di inaccettabile. Era prassi comune che gli uomini, già nel corso della loro adolescenza, frequentassero bordelli o avessero relazioni con serve e schiave. Come riporta National Geographic la verginità maschile
Lo sapevate? Nella Roma antica la verginità maschile era qualcosa di inaccettabile.
Era prassi comune che gli uomini, già nel corso della loro adolescenza, frequentassero bordelli o avessero relazioni con serve e schiave. Come riporta National Geographic la verginità maschile era qualcosa di molto mal visto nella società romana perché l’uomo doveva essere un dominatore. D’altra parte la donna, soprattutto se era di classe alta, aveva l’obbligo di arrivare vergine al matrimonio, principalmente per una questione morale: bisognava evitare che la donna venisse a conoscenza dei piaceri del sesso perché si credeva che questo potesse spingerla a compiere adulterio.
Nell’antica Roma il sesso era soprattutto una dimostrazione di potere: il matrimonio si contraeva per ragioni politiche e per procreare, l’uomo faceva i propri comodi senza pensare troppo a soddisfare la partner, e l’aspetto ludico del piacere lo riservava a prostitute, amanti e concubine (con le quali si sperimentavano posizioni più ardite). Con queste premesse, preoccuparsi dell’orgasmo di lei in modo esclusivo era fuori discussione: l’uomo romano non avrebbe mai praticato il cunnilingus, a costo di rimetterci l’onore.
Per lo stesso motivo – la dimostrazione di potere – tra gli uomini romani era tollerato avere rapporti con schiavi o discepoli maschi, ma non, per un uomo adulto, trovarsi nella posizione di ricevere piacere: il ruolo passivo spettava alle donne, a ragazzini o a uomini di rango inferiore. Insomma più che con chi, contava il come.
Gli atteggiamenti e i comportamenti riferibili alla sessualità nell’antica Roma sono stati variamente descritti nell’arte romana, nella letteratura latina e nel Corpus Inscriptionum Latinarum; in misura minore anche da reperti di archeologia classica, quali manufatti di arte erotica (vedi ad esempio l’arte erotica a Pompei e Ercolano) e di architettura romana.
È stato talvolta ipotizzato che la “licenza sessuale illimitata” fosse una delle caratteristiche più peculiari del mondo Romano antico: “La sessualità degli antichi Romani non ha mai avuto buona stampa in Occidente, da quando si è verificato il predomino culturale del cristianesimo. Nella fantasia popolare e nella cultura di massa questa è sinonimo di licenziosità e abuso sessuale“. Tuttavia la sessualità non è stata affatto esclusa dalle preoccupazioni del mos maiorum, il nucleo della tradizione etica della civiltà romana; ciò si è verificato attraverso consolidate norme sociali che hanno interessato la vita pubblica, privata e finanche militare.
La società romana era fortemente intrisa di patriarcato (vedi la figura del Pater familias), e il concetto di mascolinità si basava essenzialmente sulla capacità di governare se stessi e gli altri, cioè oltre che gli schiavi e i sottoposti anche la propria persona, e ciò valeva pure nell’ambito delle relazioni sessuali. “Virtus“, la virtù-il valore, è stato un ideale mascolino di auto-disciplina attiva e che si viene direttamente a riferire alla parola latina indicante il maschio-Vir (la virtù è pertanto caratteristica dell’uomo inteso come rappresentante mascolino della società).
L’ideale corrispondente al termine “Vir” per la donna era la pudicitia, spesso tradotta come castità o modestia; ma essa rappresentava in realtà anche una qualità personale più pro-positiva e finanche competitiva, che doveva ben raffigurare sia il fascino che l’auto controllo di cui doveva essere dotata per Natura la matrona romana. Le donne delle classi superiori avrebbero dovuto essere colte, forti di carattere, ed attive nell’impegnarsi a mantenere la posizione del proprio clan familiare all’interno della società civile.
Alcuni atteggiamenti e comportamenti di natura sessuale ben presenti all’interno della cultura romana differiscono notevolmente da quelli della successiva cultura occidentale. La religione romana ad esempio promuoveva la sessualità come uno degli aspetti fondamentali di prosperità per l’intero Stato; singoli individui potevano rivolgersi alla pratica religiosa privata, o anche alla magia, per migliorare la loro vita erotica o la salute e capacità riproduttiva; inoltre la prostituzione nell’antica Roma era legale, pubblica e diffusa. Soggetti artistici che oggi definiremmo senza esitazione come pornografia erano ampiamente presenti tra le collezioni d’arte delle famiglie più rispettabili e di elevato status sociale.
Si riteneva del tutto naturale, e il fatto in sé era “moralmente” irrilevante, che un uomo adulto potesse essere attratto sessualmente da adolescenti di entrambi i sessi; la pederastia veniva tranquillamente accettata fintanto che essa riguardava partner maschili – anche giovanissimi – che non fossero cittadini romani, quindi coloro che non erano nati liberi o attualmente in una condizione di schiavitù. La dicotomia moderna di eterosessuale ed omosessuale non costituiva in alcuna maniera la distinzione primaria del pensiero romano nei riguardi della sessualità ed in lingua latina non esistono neppure parole indicanti gli attuali termini che vengono a distinguere nella sua totalità l’identità di genere o l’orientamento sessuale.
Nessuna censura morale vigeva contro l’uomo che godesse degli atti sessuali compiuti con donne o altri uomini di livello inferiore al suo; a patto che questi comportamenti non venissero a rivelare carenze o eccessi nel carattere, né violassero i diritti e le prerogative degli altri coetanei maschi. Era invece la caratteristica dell’effeminatezza a venir percepita in maniera unanimemente negativa, con casi divenuti celebri di denuncia letteraria pubblica a mo’ di scherno e invettiva; questo poteva accadere particolarmente all’interno della retorica politica, quando si accusavano spesso e volentieri gli avversari di essere effemminati, cioè affetti da forti carenze caratteriali e pertanto del tutto inaffidabili anche per quel che concerneva la gestione della cosa pubblica.

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