Lo sapevate? Il 21 dicembre 1925 morì er Conte Tacchia, personaggio molto popolare a Roma per il suo comportamento burlesco

Lo sapevate? Il 21 dicembre 1925 morì er Conte Tacchia, personaggio molto popolare a Roma per il suo comportamento burlesco. Adriano Bennicelli, vissuto alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento è stato un personaggio molto popolare della Roma
Lo sapevate? Il 21 dicembre 1925 morì er Conte Tacchia, personaggio molto popolare a Roma per il suo comportamento burlesco.
Adriano Bennicelli, vissuto alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento è stato un personaggio molto popolare della Roma umbertina: i conti Bennicelli si erano arricchiti con il commercio del legname, così la gente lo soprannominò Tacchia, che in romanesco significa zeppa di legno. La famiglia era diventata piuttosto agiata e Adriano aveva sempre un atteggiamento eccentrico, scanzonato e da gran signore. Il palazzo del conte Bennicelli, di cui i discendenti sono a tutt’oggi proprietari, è il Palazzo del Banco di Santo Spirito.
Alla sua figura si ispira un noto film di Sergio Corbucci (1982), “il conte Tacchia” (qui però il nome del conte è Francesco, Checco, Puricelli), con Enrico Montesano, Vittorio Gassman e Paolo Panelli.
Sempre molto elegante, prediligeva il thight, guanti sempre a penzoloni e bombetta; andava in giro per la città con una delle sue carrozzelle tirate da due o quattro cavalli e per chi non gli dava strada erano parolacce ma anche liti e denunce, che contribuirono a farlo spesso partecipe nelle cronache del tempo. Per esprimersi al meglio aveva bisogno di un palcoscenico all’aperto e di un folto pubblico davanti al quale esibirsi e con il quale s’intratteneva spesso a discutere animatamente. Il Conte Adriano, quando per strada si sentiva chiamare “Tacchia”, s’infuriava e replicava con i termini più espressivi del vocabolario romanesco; poi col tempo, finì per rassegnarsi al soprannome perché era diventato una vera celebrità a Roma. Dove c’era lui, a volte la circolazione stradale si bloccava. Spesso se la prendeva soprattutto con i vetturini, magari perché non gli avevano lasciato la strada libera, ecco erano i suoi bersagli preferiti. Una volta il Conte finì in pretura per averne schiaffeggiato uno. Fu condannato a cinquanta lire di ammenda, ma visto il sorriso soddisfatto dell’avversario si affrettò a depositare sul tavolo del magistrato un biglietto da cento lire e sulla faccia del vetturino un altro schiaffo per pareggiare il conto.
La sua vita fu accompagnata da una sfilza di vicende giudiziarie con udienze alle quali accorreva la folla per ridere delle colorite autodifese dell’imputato. Nel 1910 si candidò per diventare deputato liberale. Molti manifesti apparvero a Roma per annunciare che in una nota osteria del tempo, avrebbe esposto il suo programma elettorale. Fu accolto da pochi fedeli e raccolse soltanto 83 voti su 2694 votanti. Commentò così la sconfitta: “Ho pagato tanti litri e mi hanno restituito un fiasco solo!”. Trascorse gli ultimi anni della vita infermo, finché il 21 dicembre 1925 morì, rimpianto dai romani per la sua franchezza e generosità.

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