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Sculacciate ai bambini sì o no? La parola allo psicologo Luca Loi | Ogliastra - Vistanet
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Sculacciate ai bambini sì o no? La parola allo psicologo Luca Loi

Sculacciate ai bambini sì o no? La parola allo psicologo Luca Loi

Sculacciate ai bambini sì o no? La parola allo psicologo Luca Loi

C’è chi “io una sculacciata ogni tanto l’ho pescata e non sono morto” e chi “non è mai l’arma giusta”. Per capire una volta per tutte se essere team “ciabattata stile mamma anni Novanta yes” o “GUAI!”, interviene l’esperto Luca Loi.

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27 Dicembre 2022 13:04 federicacabras

Il mondo genitoriale, e non solo, è diviso in due parti: pro o contro uno sculaccione dato ogni tanto a un bambino per una marachella.

C’è chi “io una sculacciata ogni tanto l’ho pescata e non sono morto” e chi “la violenza non è mai l’arma giusta”.

Nonostante sia vero che il lancio della ciabatta delle mamme degli anni Novanta se lo ricordano un po’ tutti con nostalgia e quasi fosse una disciplina olimpionica, compresa io, ahimè, è giusto – visto che di anni ne sono passati parecchi e le conoscenze a livello psicologico hanno fatto passi da gigante – fare un po’ di chiarezza sulla faccenda.

Per capire una volta per tutte se essere team “ciabattata yes” o “ciabattata guai”, interviene Luca Loi, psicologo clinico dell’età evolutiva, specializzato in psicologia giuridica e forense.

«Piuttosto che sculacciate sì, sculacciate no, mi chiederei sculacciate perché?» dice Loi. «Potrebbe essere utile contestualizzare il motivo di questa forma di punizione, per provare a capire se le alternative possono essere più utili ed efficaci. Considerato che l’argomento è molto ampio e sentito, ci possiamo soffermare su un periodo in cui i capricci si fanno più intensi e costanti, a partire dai due anni. È da questo periodo, molto ricco di esperienze, che il bambino inizia ad avere una maggiore consapevolezza di sé, la ricerca dell’indipendenza si fa sempre più forte e il contrasto con il caregiver è all’ordine del giorno. Quindi l’adulto può rappresentare sicuramente un limite verso le sperimentazioni e la continua scoperta del mondo. I “no” sono frequenti, sono fondamentali per il suo processo di crescita e di separazione dall’adulto e nello sviluppo della sua identità.

Questi “no” possono essere accompagnati, non raramente, da pianti disperati e urla. Non obbedire alle richieste dei genitori e scenate in pubblico possono essere episodi molto frustranti per i caregiver che possono portare all’esasperazione e la scelta più rapida e forse l’unica soluzione in quei momenti può apparire la sculacciata. Ma anche la reazione del bambino a quella situazione può essere dettata dalla frustrazione perché, non essendo il bambino un piccolo adulto ma un soggetto in pieno sviluppo che non ha i mezzi né gli strumenti per fargli fronte, non riesce quindi a comunicare un disagio. La regolazione delle emozioni è ancora incostante, l’adulto da questo punto di vista può fare molto rassicurandolo, facendogli capire che siamo presenti e lo capiamo, sintonizzandoci empaticamente con lui e favorendo la connessione su base emotiva, molto importante per aiutarlo a gestire le situazioni più difficili.»

Non vuol dire tralasciare le regole – chiarifica Loi –, fondamentali da un punto di vista comportamentale.

«Possono essere poche ma devono avere una loro coerenza e devono essere fatte sempre rispettare» spiega. «Diamo spazio al bambino, ma facciamolo all’interno di regole chiare, coerenti e rispettate, sempre. A chi dice che ha ricevuto sculacciate ma non è morto posso rispondere che ogni esperienza è soggettiva e rispettabile, ma proporre un’alternativa non sempre è facile ma ci si può provare, di fronte a delle difficoltà ci sono sempre delle strade differenti da percorrere, compresa la strada del dialogo e dell’empatia. Il consiglio che posso dare è che la perfezione non esiste, non esiste un genitore perfetto ma un genitore che fa il proprio meglio per il suo bambino, quindi può essere utile far capire al piccolo che anche l’adulto a volte sbaglia, urla e si arrabbia. Questo può aiutarci a sentirci meno in colpa e evitare di far avere sensi di colpa al bambino.»

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Elio Vittorini in Sardegna: un viaggio nell’Isola in cui “si torna bambini, come si era nel principio del mondo”



Nel settembre del 1932, Elio Vittorini approda in Sardegna per un viaggio organizzato dalla rivista L’Italia Letteraria, che bandisce un concorso per il miglior resoconto dell’esperienza. Vittorini, allora giovane scrittore, si aggiudica il primo premio.

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27 Giugno 2025 10:36 Maria Luisa Porcella Ciusa

Nel settembre del 1932, Elio Vittorini approda in Sardegna per un viaggio organizzato dalla rivista L’Italia Letteraria, che bandisce un concorso per il miglior resoconto dell’esperienza. Vittorini, allora giovane scrittore, si aggiudica il primo premio ex aequo con Virgilio Lilli. Ma per lui quel viaggio non è solo un’opportunità giornalistica: diventa un momento di rivelazione, una tappa formativa che si cristallizzerà nel breve ma potentissimo testo “Sardegna come un’infanzia”.

nuoro foto antonio ballero

Foto Antonio Ballero

Lontano dai toni cronachistici del reportage, Vittorini costruisce una narrazione visionaria, poetica, rarefatta. La Sardegna che descrive è una terra remota, sospesa nel tempo, essenziale e primitiva come l’infanzia dell’umanità. “In Sardegna si torna bambini. Ma non quei bambini d’oggi, no, bambini come si era nel principio del mondo”, scrive in una delle frasi più emblematiche dell’opera.

Per Vittorini, l’isola non è un luogo da visitare, ma una soglia da attraversare. Le pietre, i silenzi, i volti scolpiti della gente sarda evocano una dimensione premoderna e profonda, fatta di durezza ma anche di autenticità. È una Sardegna che parla con la voce del mito, dove ogni gesto quotidiano appare simbolico, ogni paesaggio diventa archetipo.

nuoro 1935

Foto condivisa da Domenico Melia

Lo stile, frammentario e lirico, è attraversato da immagini forti, allucinate, che più che descrivere, evocano. Vittorini non cerca l’esotismo né il folclore, ma l’umanità essenziale, quella che vive ancora in simbiosi con la terra, il silenzio, la fatica.

Uno dei passaggi più intensi del libro è dedicato a Nuoro, che Vittorini definisce “la capitale del popolo”, una città che le genti delle Barbagie, dell’Ogliastra e del Marghine riconoscono come centro del proprio mondo. Il mercato brulicante è descritto con la precisione del pittore e la sensibilità del poeta: “Uomini e donne, gli uomini in bianco e nero, alcuni in mastruca, con questo caldo! Le donne in rosso e nero, gremiscono le strade spingendo asinelli carichi di mercanzia… Le donne strepitano con uno strepito da bambine, senza risa, accanitamente loquaci. Hanno voci cantanti. Da fanciulle di sedici anni; le vecchie pure.”

Un’umanità antica si muove tra i vicoli assolati, tra casupole che vendono pomodori poggiati su una sedia o mezzi montoni sorvegliati da cani. Tutto è essenziale, polveroso, vero. Anche il paesaggio partecipa di questa visione: i fichi d’India, le cornacchie, le montagne nere e, in lontananza, la gigantesca statua del Redentore sulla schiena del monte Ortobene, evocano un mondo simbolico, quasi sacro.

Sardegna come un’infanzia è un’opera che, pur nella sua brevità, offre uno dei ritratti più intensi e personali dell’isola. È il racconto di un incontro non turistico, ma esistenziale. Vittorini, più che raccontare la Sardegna, la ascolta, la sogna, la attraversa con occhi nuovi, come se davvero fosse tornato bambino. In un’epoca in cui il viaggio è spesso consumo veloce, l’esperienza di Vittorini ci ricorda che ci sono luoghi che si attraversano solo con lentezza, ascoltando. La Sardegna, per lui, non è una destinazione: è un’origine. Si ringrazia il professor Domenico Melia per aver condiviso gli scatti e l’analisi sul testo di Vittorini.
 

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