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Gli insetti il cibo del futuro? I nuragici mangiavano le cavallette cotte nel vino, altro che ultima moda! | Ogliastra - Vistanet
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Gli insetti il cibo del futuro? I nuragici mangiavano le cavallette cotte nel vino, altro che ultima moda!

Gli insetti il cibo del futuro? I nuragici mangiavano le cavallette cotte nel vino, altro che ultima moda!

Gli insetti il cibo del futuro? I nuragici mangiavano le cavallette cotte nel vino, altro che ultima moda!

I nuragici erano agricoltori e allevatori, seguivano una dieta varia e ricca, consumavano insetti, cuocevano i maialetti allo spiedo, preparavano sa “pezza imbinara” e non si facevano mancare cozze e ostriche. E non si tratta di teorie, ma di certezze dimostrate scientificamente. Vediamo come si nutrivano gli uomini dei nuraghi con l'aiuto dell'archeologo Mauro Perra.

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28 Aprile 2018 13:40 La Redazione

Gli insetti il cibo del futuro? I nuragici mangiavano le cavallette cotte nel vino, altro che ultima moda!

 

I nuragici erano agricoltori e allevatori, seguivano una dieta varia e ricca, consumavano insetti, cuocevano i maialetti allo spiedo, preparavano sa “pezza imbinara” e non si facevano mancare cozze e ostriche. E non si tratta di teorie, ma di certezze dimostrate scientificamente. Vediamo come si nutrivano gli uomini dei nuraghi con l’aiuto dell’archeologo Mauro Perra.

Nel corso degli anni, fin dai primi rinvenimenti di insediamenti nuragici, sono state formulate numerose teorie sulla civiltà nuragica, ma fino alla metà degli anni ’80 ci si è dovuti fermare appunto alle teorie. Successivamente il progresso tecnologico e in particolare la possibilità di analizzare il DNA dei reperti organici ha consentito agli studiosi di passare dall’archeologia tradizionale all’archeometria, cioè alla possibilità di esaminare i reperti scientificamente. Grazie all’archeometria, e partendo dal presupposto che noi siamo ciò che mangiamo, che la dieta di una civiltà ne definisce in qualche maniera l’identità culturale e soprattutto il livello di evoluzione, l’archeologo Mauro Perra, direttore del museo Su Mulinu di Villanovafranca ha condotto una approfondita ricerca sulla dieta del popolo dei nuraghi, che ha poi pubblicato in un libro dal titolo: ”Alla mensa dei nuragici, mangiare e bere al tempo dei nuraghi” edito da Delfino.

Prendendo in esame un arco temporale che va dal 16 esimo al nono secolo a.C., Perra ha studiato i reperti legati all’alimentazione ritrovati in diversi siti, ma in particolare quelli degli scavi del Nuraghe Arrubiu di Orroli. I nuragici aravano il terreno, sono stati infatti rinvenuti dei vomeri sia in pietra che in bronzo, per coltivare orzo, grano tenero e grano duro e, anche se in minor quantità anche farro. «purtroppo non siamo in grado di definire esattamente i cultivar del grano, perché i resti organici ritrovati sono carbonizzati e non è possibile ricostruire il DNA – spiega l’archeologo- però sappiamo che lo macinavano perché facevano il pane ed è probabile, ma di questo non abbiamo certezza, che alla farina di grano aggiungessero la farina di ghiande. Nelle zone dove si preparavano i pasti sono state trovate molte ghiande, è probabile che le consumassero, ma non sappiamo se le macinassero». I nuragici coltivavano anche i legumi, sono stati ritrovati infatti resti di favino, lenticchie, piselli e cicerchia “su piseddu” in sardo, un legume che in Sardegna si coltivava fino agli anni ’60.

Si nutrivano prevalentemente di frutti spontanei come fragole selvatiche, more e corbezzolo, consumavano sicuramente anche i fichi. C’è però un rinvenimento che la dice lunga sul livello di evoluzione dei nostri antenati: a Cabras sono stati ritrovati semi di melone. Il melone non cresce spontaneamente in Sardegna, non è endemico, segno che i nuragici lo coltivavano e che dovevano necessariamente averlo scambiato con persone provenienti da altre terre. Grazie a questi studi si è definitivamente smentita l’ipotesi che fossero stati i fenici a portare il vino in Sardegna. I primi resti di vino e di uve, rinvenuti nei nuraghi risalgono a un’epoca sicuramente anteriore all’avvento dei fenici. Il vino veniva utilizzato anche per cucinare. «In un vaso ritrovato nel nuraghe Arribiu, ma che proviene sicuramente da Isili – racconta Perra- sono stati ritrovati resti di cavallette, grilli e cicale cotti nel vino e possiamo affermare che la temperatura di cottura arrivava a 350 gradi»

Il popolo dei nuraghi seguiva una dieta varia, ricca anche di proteine, allevava bovini, suini e ovicaprini. «i bovini non venivano allevati per la carne, ma come animali da lavoro – spiega l’archeologo- perché sono stati ritrovati scheletri di esemplari anziani e con le ossa delle zampe deformate dallo sforzo cui erano sottoposti per arare il terreno. È probabile che li macellassero solo quando non erano più in grado di lavorare. Mentre sappiamo che mangiavano i maialini da latte e li cuocevano allo spiedo. A Barumini sono stati ritrovati una serie di fori in fila nel terreno che servivano per tenere verticali gli spiedi che venivano appunto inseriti nei fori». Gli ovini venivano allevati soprattutto per il latte che veniva lavorato, infatti sappiamo con certezza che i nuragici erano in grado di produrre diversi tipi di latticini. I nuragici praticavano anche la caccia e la pesca, cacciavano cervi e cinghiali, colombi e tordi e il prolago sardo, un roditore ormai estinto simile a un leprotto senza coda.

I nostri progenitori non si facevano mancare neanche il pesce, sono state ritrovate lische di orata di grandi dimensioni e sappiamo, dalle valve ritrovate, che nei nuraghi si mangiavano cozze e ostriche. E si può dedurre che ne fossero particolarmente ghiotti, visto che li consumavano anche nelle zone interne dell’Isola, evidentemente li andavano a prendere sulla costa. È dimostrato l’utilizzo dell’olio per cucinare, sono stati ritrovati resti di oli vegetali, ma non è dato sapere se si tratta di oleastro, olivo o lentischio. Perra spiega il motivo di questa incertezza: «abbiamo trovato una quantità modesta di noccioli di olive e non sappiamo se questo sia dovuto al fatto che non ne facessero un largo uso o se, visto che i noccioli sono un ottimo combustibile, li utilizzassero tutti per accendere il fuoco». Anche il grasso di maiale veniva utilizzato come grasso per cucinare, quello che in dialetto si chiama “oll’e procu”.

E se non abbiamo la prova che utilizzassero il sale per condire i cibi, è sicuro invece li dolcificassero. Il vino veniva dolcificato con le bacche di prugnolo. Ed è sicuro che nei nuraghi si conoscesse l’uso del miele e della cera d’api che veniva impiegata per impermeabilizzare l’interno dei vasi. Un cenno infine alla convivialità: «spesso i pasti travalicavano l’alimentarsi quotidiano, per dar luogo a incontri conviviali- conclude Perra- , in alcune capanne abbiamo rinvenuto dei resti che testimoniano di pasti ai quali prendevano parte anche 40 o 50 commensali. È probabile che fossero occasioni riservate all’elite di persone che ricoprivano ruoli di rilievo nella gerarchia sociale». Se è vero che siamo ciò che mangiamo, possiamo tranquillamente affermare che la gente che abitava i nuraghi era sana, saggia, creativa, evoluta e particolarmente golosa!

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Prima dell'inizio della cerimonia, i bambini con le bandiere sarde e i suonatori di launeddas hanno cantato l'inno francese La Marsigliese e successivamente "Procurade e moderade - sos patriotas sardos a sos feudatarios".

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28 Aprile 2018 13:38 La Redazione

Grande partecipazione popolare questa mattina alle celebrazioni per Sa die de sa Sardigna. Dopo la messa in lingua sarda, il corteo con le bandiere dei quattro mori, preceduto dal gruppo di suonatori di launeddas, Cuncordia e launeddas, ha fatto il suo ingresso a Palazzo regio per le celebrazioni civili, intonando il canto “Procurade e moderade”.

Prima dell’inizio della cerimonia, i bambini con le bandiere sarde e i suonatori di launeddas hanno cantato l’inno francese La Marsigliese e successivamente “Procurade e moderade – sos patriotas sardos a sos feudatarios”.

A presenziare l’evento, il presidente della Regione Francesco Pigliaru, il presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau, il sindaco di Cagliari Massimo Zedda, l’arcivescovo di Cagliari Monsignor Arrigo Miglio e l’avvocato Antonello Angioni, che ha tenuto una relazione sul tema “Radici storiche e prospettive dell’autonomismo sardo”.

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