Nel 1898 uno scienziato sostenne che i Sardi fossero predisposti geneticamente a delinquere

L’autore si rifaceva a teorie lombrosiane, arrivando a definire il popolo sardo come privo di evoluzione morale e afflitto da una sorta di “daltonismo etico”: secondo lui, i Sardi non erano in grado di distinguere il bene dal male come altri popoli, e mostravano un’innata predisposizione alla vendetta e alla ferocia.
Era il dicembre del 1898 quando Alfredo Niceforo, studioso sicialiano, pubblicò “Delinquenza in Sardegna”, un saggio che avrebbe scatenato forti reazioni e accese discussioni.
In quelle pagine, Niceforo sosteneva che la diffusione del banditismo nell’isola non dipendesse da povertà, ingiustizie sociali o isolamento geografico, ma da un’ipotetica inclinazione innata dei Sardi alla violenza. Una tesi intrisa del determinismo biologico allora in voga, che riduceva comportamenti umani complessi a questioni di razza e sangue.
L’autore si rifaceva a teorie lombrosiane, arrivando a definire il popolo sardo come privo di evoluzione morale e afflitto da una sorta di “daltonismo etico”: secondo lui, i Sardi non erano in grado di distinguere il bene dal male come altri popoli, e mostravano un’innata predisposizione alla vendetta e alla ferocia.
La reazione sull’isola non si fece attendere: l’opera fu percepita come un insulto gratuito, un attacco all’identità collettiva. Le polemiche durarono anni e videro mobilitarsi scrittori, studiosi e pensatori che respinsero con forza l’idea di una “razza maledetta”.
Eppure, la Sardegna di quegli anni era davvero segnata da episodi violenti. Il banditismo imperversava, soprattutto nelle zone più interne. Le cronache riportano eventi drammatici, come quello accaduto a Tortolì nel novembre del 1894. Una banda composta da oltre cinquanta fuorilegge assediò la casa del cavalier De Pau, tra i cittadini più facoltosi della zona. Dopo aver ucciso un servo che si rifiutava di parlare, i banditi trafugarono un bottino enorme – decine di migliaia di lire in oro, gioielli e oggetti preziosi – e si diedero alla fuga.
Il brigadiere Giua, proveniente dalla Gallura, tentò di fermarli con i suoi uomini. Ne seguì uno scontro a fuoco in cui perse la vita. Anche i banditi lasciarono indietro un cadavere, che però decapitarono per evitare che venisse identificato.
Proprio da casi come questo, Niceforo trasse conclusioni generalizzanti e profondamente offensive.

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