Ieri pomeriggio nella Cattedrale di Sant’Andrea si è celebrata la Santa Messa presieduta da Monsignor Antonello Mura e concelebrata da tutti i sacerdoti della Diocesi di Lanusei in occasione della fondazione della Diocesi d’Ogliastra avvenuta l’8 novembre 1824.

Il sindaco di Tortolì Marcello Ladu e il sindaco di Lanusei Davide Burchi

Presenti oltre ai sacerdoti anche i sindaci di Lanusei Davide Burchi e di Tortolì Marcello Ladu,il comandante della Polizia Locale Marta Meloni, il capitano della Compagnia di Lanusei Marco Mastrovito e il maresciallo della stazione di Tortolì Stefano Schirru.

Duecento anni di storia che iniziarono ad opera di Papa Leone XII che fissarono la sede a Tortolì con il primo Vescovo Serafino Carchero. Per 103 anni la cittadina costiera ha ospitato nove vescovi e nel 1927 la sede fu trasferita a Lanusei e da allora 5 vescovi si sono susseguiti sulla cattedra episcopale.

Monsignor Mura durante l’omelia ha ringraziato chi duecento anni fa ha piantato quel seme che ha radicato e dato frutti nonostante la diocesi sia piccola rispetto ad altre realtà ma comunque si apre ad una Chiesa Unica. Nella Chiesa di Sant’Anna fino al 27 novembre si potrà visitare una mostra sulla storia della Diocesi a cura dell’Ufficio Beni Culturali di Lanusei.

Don Filippo Corrias

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Lo sapevate? Che cosa vuol dire in sardo la parola “Drollimini”?

Sei drollo (drollu), quante volte vi è stato detto da vostra madre? Ma cosa vuol dire veramente “drollo” e che cosa è su “drollimini”?

Lo sapevate? In sardo, la parola “drollimini” non è certo un complimento, anzi, è un autentico biglietto di sola andata per il club dei pasticcioni, dei distratti, dei campioni di scarsa voglia e approssimazione. Ma cosa significa esattamente? Andiamo con ordine. Quante volte vi siete sentiti dire da vostra madre, con quel tono che non lascia scampo: “Sei drollo!”? (O peggio, “drollu!”, giusto per sottolineare il carico di disapprovazione). Ebbene, “drollo” non è esattamente un termine che fa curriculum, e nemmeno un titolo onorifico. È un modo sardo per dirti che, in soldoni, sei sciatto, trascurato, tonto, scombinato. Insomma, un po’ come cercare di infilare un elefante in una Smart.

E su “drollimini”? Qui le cose si fanno ancora più pittoresche. “Drollimini” indica l’essenza stessa dello sciatto, dello sconcio, del disadattato cronico. È il trionfo della trascuratezza in ogni sua forma, dal look stile “mi sono vestito al buio” all’abilità nel trasformare un compito semplice in un’impresa epica di caos e disastri. È quella parola che tua nonna tira fuori quando rompi il terzo piatto di fila mentre sparecchi. E non c’è scampo: se ti appioppano un “Esti drollimini!”, puoi solo fare un inchino e accettare il verdetto.

Il bello di “drollimini” è che non si limita a descrivere, ma dipinge scenari. Sei quella persona che, se prende in mano qualcosa, è matematico che gli cada. Sei quello che, se c’è una strada per complicare le cose, la percorre fino in fondo, magari inciampandoci pure. E non si tratta solo di distrazione o stupidità (che in sardo viene subito accoppiata, con simpatica cattiveria, a “tontesa”), ma proprio di uno stile di vita. Essere “drolli” è un po’ un’arte. Maldestra, certo, ma pur sempre arte.