Convivere con il diabete: la storia della 23enne lanuseina Giada Cherchi
«Il diabete non è solo quello che viene alla nonna, non viene perché hai mangiato troppi dolci o, come mi chiese una persona, “perché si mangia troppo sale”. Il diabete non è un gioco, non passa con una bella dormita, con una pastiglia o una puntura. Il diabete è una patologia cronica che ti accompagna per tutta la vita e non va sottovalutata.»
«Se da piccola sognavo di diventare diabetologa pediatrica per aiutare chi, come me, si trova ad affrontare una diagnosi di diabete, ora voglio diventare psicologa e psicoterapeuta, prendere vari master per poter lavorare e aiutare al meglio chi si rivolgerà a me. Il diabete non è solo quello che viene alla nonna, non viene perché hai mangiato troppi dolci o, come mi chiese una persona, “perché si mangia troppo sale”. Il diabete non è un gioco e non passa con una bella dormita o con una pastiglia o una puntura, il diabete è una patologia seria, è una patologia cronica che ti accompagna per tutta la vita e non va sottovalutata.»
Iscritta al primo anno di triennale in Scienze e tecniche psicologiche, la lanuseina 23enne Giada Cherchi ha le idee chiare: «A settembre inizierò il secondo, un percorso non sempre facile ma che mi sta portando alla realizzazione di ambizioni e desideri che vanno al di là del solo lavoro.»
Giada scrive – sin dall’età di otto anni – poesie, una passione, come racconta, nata non solo per caso ma anche per «resistere e trovare una valvola di sfogo alle prese in giro fatte per via del diabete». Un sogno nel cassetto? Quello di vederle pubblicate.
Ma non solo. Viaggi, animali, canto, pianoforte: la Cherchi è un’artista a tutto tondo e non ha mai permesso al diabete di vincere su di lei. La sua è una vita improntata all’aiuto agli altri, aiuto che dà sostegno anche a lei stessa: «Sono educatrice di ACR nella mia parrocchia, una famiglia in cui sono nata e cresciuta, che ho scelto, e che mi ha aiutata ad affrontare tanti momenti bui della mia vita.»
Ma cosa vuol dire convivere con il diabete, patologia molto conosciuta “di nome” ma spesso in modo frammentario e poco chiaro?
«Bisogna non solo fare periodicamente (ogni tre mesi circa) analisi e visite in diabetologia, ma anche tenere sotto controllo le glicemie, ossia i livelli di zucchero presenti nel sangue. Da casa è possibile farlo con iniezioni di insulina, che si possono fare in due modi: o con le penne di insulina, quindi pungendosi ogni qualvolta sia necessario (pasti, iperglicemie…), o con i microinfusori (piccoli apparecchi che si tengono collegati al corpo attraverso delle cannule sottocutanee e che permettono di iniettare insulina costantemente). Tutto si svolge tramite i controlli della glicemia, che si effettuano prelevando una piccola goccia di sangue dai polpastrelli delle mani che andrà poi inserita in una striscia reattiva che, collegata ad un apparecchietto, detto glucometro, rivelerà la quantità di zuccheri presenti nel sangue, o attraverso sensori, piccoli apparecchietti che, collegati alla pelle tramite una piccola cannula sottocutanea, permettono di rilevare continuamente la glicemia senza bisogno di pungersi più volte al giorno. Ma per tenere a bada la glicemia bisogna anche fare conti per sapere esattamente i carboidrati che si stanno assumendo e le quantità di insulina da somministrare, stare attenti all’alimentazione.»
Ma Giada Cherchi è chiara: non significa, come pensano molti, non poter mangiare zuccheri o dolci: «Si può mangiare di tutto ma moderatamente, sarebbe bene poi fare sport. Vivere col diabete significa anche dover mangiare anche quando non si ha voglia perché la glicemia scende sotto i livelli normali, allora occorre assumere zuccheri semplici (zucchero da cucina, succhi di frutta, Coca Cola, aranciata…) per riportarla a livelli ottimali, aspettare prima di mangiare perché la glicemia è troppo alta e occorre fare in modo che scenda. Significa svegliarsi la notte in ipo o in iperglicemia. Significa anche sentirsi stanchi» rivela. «Per me il diabete è anche esultare di gioia perché le glicemie stanno andando bene, vedere le analisi perfette e stupirsi perché non te lo saresti aspettata, ma è anche arrabbiarsi perché c’è qualcosa che non sta andando ma poi riprendersi e cercare di risolvere il problema. È anche conoscenze e amicizie, avere una seconda famiglia fatta di persone che si capiscono e si aiutano a vicenda.»
Insomma, può sembrare semplice ma semplice non è affatto. La 23enne lanuseina soffre del diabete mellito di tipo 1 – diagnosticato quando aveva tre anni e mezzo, nel 2004 –, chiamato anche diabete giovanile perché si diagnostica dall’età infantile fino ai giovani adulti, ed è una patologia autoimmune.
«L’organismo di un diabetico di tipo 1 non produce più insulina,» spiega «che agisce come una chiave che apre le cellule permettendo il passaggio di zuccheri che rimangono nel sangue.»
Le limitazioni ci sono, eccome se ci sono: fermarsi quando si è in ipoglicemia, ad esempio, perché bisogna aspettare che salga, ma non solo, anche fare visite e controlli continui, mangiare a seconda dei bisogni del corpo (e non della fame vera e propria), perdere ore di sonno, pesare tutto quel che si mangia e fare infiniti calcoli per ogni pasto, non poter uscire di casa senza glucometro, insulina e cibo e tanto altro.
«Occorre stare attenti alle ferite perché si cicatrizzano dopo molto tempo, non possiamo camminare scalzi perché rischiamo di farci male e i nostri piedi sono sensibili (anche un piccolo taglio può causarci grossi problemi). Chi ha il microinfusore deve strare attento che non si bagni perché altrimenti si rompe, deve stare attento alla cannula perché se si piega, se non è messa bene o se ci sono bolle d’aria nel serbatoio o nel filo che collega il serbatoio alla cannula, potrebbe non arrivare insulina e quindi la glicemia si alzerebbe.»
Insomma, una vita che si deve adattare alla patologia, tra ansia che tutto vada bene e incertezza. «Il diabete è imprevedibile e, a volte, capita che gli sforzi fatti siano vani» chiarisce. «La paura che qualcosa possa andare storto e la libertà, l’autonomia e la gestione ottimale della patologia che con il tempo ho imparato e acquisito vengano meno. La paura di avere un’ipoglicemia notturna e non me ne accorga. La paura di avere un’ipo/iperglicemia e non riuscire a correggerla per cui nonostante tutto quello che mangio la glicemia non sale o nonostante tutta l’insulina che ho fatto la glicemia non scende. La paura di poter avere delle complicanze legate al diabete.»
Anni ed anni per accettarlo, per farlo proprio, per considerarlo una sorta di compagno di percorso: «Ho iniziato ad accettarlo solo nel 2021 grazie al lavoro fatto in psicoterapia, andai in realtà per altri problemi e scoprii solo dopo che il diabete non lo avevo accettato ma ci stavo solo convivendo, cercando di annullarlo in ogni modo.»
E i momenti di sconforto, ad oggi? Sì, ci sono, ammette Cherchi, ma sono pochi, legati perlopiù al fatto che – come ha detto la lanuseina – “il diabete è imprevedibile”. «Lo sconforto maggiore è arrivato mi hanno diagnosticato altre patologie, tra cui la celiachia: il dover cambiare totalmente le mie abitudini alimentari, quando le analisi della tiroide non andavano bene e mi stavano portando problemi al cuore, è stato un ulteriore problema. Tuttavia non bisogna mai arrendersi, ci si ferma, ci si arrabbia, ma si riprende poi sempre più forti e a testa alta.»
Ma i consigli non mancano.
«Quando viene diagnosticata una patologia come il diabete, spesso ci si sente soli, impotenti, incapaci di agire e reagire, è come se il mondo ti crollasse addosso. Parlo innanzitutto ai genitori di questi bambini e ragazzi, che noi chiamiamo i T3, non siete soli, non disperate perché dopo la tempesta viene sempre l’arcobaleno. Sembra insopportabile che vostro figlio o vostra figlia debba convivere tutta la vita con questa patologia, vi verrà da chiedervi “perché a lui/lei e non a me?”, vi sembrerà impossibile agire, ma basta un solo passo e se non riuscite da soli chiedete aiuto, lasciate che i vostri figli vivano una vita per quanto possibile normale e serena e ricordate che la loro serenità dipende dalla vostra. Ai ragazzi che non lo hanno accettato e che ci stanno male dico che non sono soli, capisco cosa si prova, ma più si tarda da accettare peggio è. Non cercate di fare finta che non esista, seguite ciò che il vostro diabetologo vi dice, chiedete aiuto, riuscirete ad affrontare anche gli ostacoli più grandi che questa patologia ci mette davanti. Non smettete di curarvi, sono peggio le complicanze che questo può portare rispetto alla convivenza con esso, ricordate che potete essere buoni alleati invece che buoni nemici. Un consiglio che posso dare oltre al farsi aiutare se da soli non ce la si fa è di prenderlo con ironia, rideteci su, per quanto sembra difficile, quasi impossibile, probabilmente sembrerò pazza ma riderci su e prendere con ironia certe situazioni aiuta a viverlo meglio, i momenti di sconforto ci saranno ma la forza che abbiamo ci permette di superarli. Altro consiglio è quello di non isolarsi mai, parlatene apertamente, ditelo agli amici ai parenti, a chiunque vi può stare vicino, parlatene con altri diabetici che vi capiranno sicuramente e sapranno come aiutarvi.»
Importante evitare diagnosi tardive, che possono portare al come o alla morte.
«Tra i sintomi principali ci sono: tanta sete, tanta pipì, perdita di peso, stanchezza, ai quali si possono aggiungere mal di testa, vista sfocata, e mal di pancia» chiude la 23enne. «Se avete o se vostro figlio ha anche solo uno di questi sintomi rivolgetevi in farmacia, al vostro medico o in pronto soccorso e chiedete di fare un controllo della glicemia.»
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