Gigi Riva e l’Ogliastra. Quando “Rombo di Tuono” capì veramente di amare la Sardegna

Esiste un episodio avvenuto a Seui, più volte ribadito da Riva, che gli fece comprendere quanto fosse legato all’Isola.

Il goal in rovesciata di Gigi Riva in Vicenza-Cagliari del 18 gennaio 1970.
ANSA/WIKIPEDIA
Era appena un ragazzo Gigi Riva quando arrivò in Sardegna, ingaggiato dal Cagliari per vestire la maglia rossoblù.
Un’Isola vista con diffidenza dal resto d’Italia e prigioniera di tanti stereotipi, per il calciatore di Leggiuno rappresentava una tappa di passaggio per la propria carriera sportiva.
Invece non sarebbe più andato via dalla Sardegna, scrivendo la storia del calcio nazionale con il Cagliari.
Avrebbe prima contribuito a portare il sodalizio sportivo isolano dalla Serie B alla Serie A, per poi finire qualche anno dopo a vincere lo scudetto ‘69/’70.
Il primo titolo italiano per una squadra del Sud, e molto probabilmente non sarebbe stato l’unico se Riva non avesse riportato gravi infortuni durante la carriera.
Fu l’alfiere della Nazionale di calcio per quasi un decennio, con la quale vinse un Europeo nel ’68 e sfiorò la vittoria nel Mondiale ’70.
Riva e compagni si dovettero arrendere al Brasile di Pelè, stremati dalla partita precedente Italia-Germania 4-3 (dts) entrata nelle leggenda del calcio.
“Rombo di Tuono”, come lo soprannominò nel ’70 il geniale giornalista Gianni Brera, ancora oggi conserva la corona di cannoniere della Nazionale con trentacinque reti in appena quarantadue presenze.
La Coppa del Mondo avrebbe contribuito a conquistarla nel 2006 in Germania nelle vesti di dirigente, decisivo nel ruolo, come affermato da Fabio Cannavaro poco tempo fa.
Ma la più “grande vittoria” di Riva è stato il legame d’amore tra lui e la Sardegna, sentimento che lo portò a rifiutare la corte dei grandi club e la possibilità di guadagnare tanti soldi.
Non è stato solo un calciatore, la sua figura per il popolo sardo è quella di un “eroe”.
Un simbolo di riscatto sociale per un’intera Isola, e l’orgoglio di tanti emigrati sardi che accorrevano per assistere ad una partita del Cagliari nei campi del Nord Italia.
Minatori, operai e camerieri dai paesi europei andavano ad assistere alle trasferte rossoblù con il cuore carico di affetto e gratitudine per quella squadra.
“Quello è buono”: quando Riva capì di appartenere alla Sardegna
Ci sono momenti che parlano al cuore più delle parole, episodi che non hanno bisogno di spiegazioni perché bastano da soli a rivelare una verità profonda. Riva lo aveva già detto più volte, ma fu un incontro in particolare a farlo vibrare dentro come nessun altro, a fargli sentire che la sua anima ormai era intrecciata a doppio filo con quella della Sardegna. Era in viaggio con un amico, diretti verso Seui, piccolo paese incastonato tra i monti e il silenzio. In una di quelle case che profumano di legna e memoria, i due furono accolti da un’anziana donna. Tra i mobili semplici, lo sguardo di Riva fu attirato da una credenza, colma di santini e fotografie di famiglia. Ma ciò che lo colpì al cuore fu una foto che non si aspettava di vedere: era la sua. Lì, tra le immagini dei cari scomparsi, accanto ai volti che avevano segnato la vita di quella donna, c’era lui. L’amico, incuriosito, chiese all’anziana chi fosse quel volto tra i suoi affetti più intimi. Lei guardò la foto con rispetto e, senza sapere di avere davanti proprio quella persona, rispose con una semplicità che valeva più di mille discorsi: «Quello è buono». In quelle tre parole c’era tutto. L’amore di un popolo, la riconoscenza silenziosa, l’adozione affettiva di un uomo che aveva dato tanto e ricevuto ancora di più. Fu in quell’istante, tra i ricordi di una sconosciuta e la sua inconsapevole devozione, che Gigi Riva capì davvero quanto fosse diventato parte della Sardegna.

© RIPRODUZIONE RISERVATA