Si ammalano di cancro insieme a soli 2 anni: la storia delle gemelle Benedetta e Francesca
Francesca e Benedetta fanno presto i conti con quella brutta bestia del cancro. Sono piccole, troppo piccole. Due anni: a quest’età i bimbi dovrebbero solo preoccuparsi di giocare, non di combattere per la vita. Oggi hanno 23 anni e ci raccontano la loro storia ( a lieto fine)
Si dice che tra gemelli ci sia un legame speciale, che uno possa sentire le emozioni dell’altro in tempo reale, pur senza essere insieme in quel momento. Inquietudine, rabbia, divertimento, gioia, patimento. Ecco, quando si parla del filo che unisce due fratelli o sorelle che hanno condiviso il grembo materno spesso si dice che sia impossibile da tagliare. Forte, un filo indistruttibile. Un filo di vita che non si spezza. Mai.
La vicenda di Benedetta e Francesca Contu, 23enni originarie di Iglesias, insegna che è proprio tutto vero e che nell’unione spesso si trova la forza.
«Per tutti i nostri amici siamo sempre state Bg e Fg (Benedetta Gemella e Francesca Gemella), praticamente per noi sono quasi secondi nomi» raccontano.
«Sul prima non so bene che dire,» continua Benedetta «io e Francesca ci siamo ammalate quando avevamo 2 anni, a circa dieci giorni di distanza. Se non sbaglio a marzo 2001: Francesca prima di me, il 10, e io il 21.»
Sì, perché Francesca e Benedetta fanno presto i conti con quella brutta bestia del cancro. Sono piccine, molto piccine, troppo piccine. Due anni: a quest’età i bimbi dovrebbero solo preoccuparsi di giocare, non di combattere per la vita.
«Quando si è piccoli non si ha tanta consapevolezza, ma si hanno sempre tante domande» raccontano le gemelle. «Domande molto scomode direi, perché dubito che per mamma fosse facile trovare le parole per spiegarci bene ciò che stava succedendo.»
Be’, perché mentre loro affrontano una sfida veramente tosta, la mamma si fa carico delle sofferenze in modo da limitare un po’, per quanto possibile, quelle delle sue gemelline.
«Nei film, ai bambini viene sempre detto che c’è un mostro cattivo da battere e che bisogna essere forti, ma nella realtà non nego che non ho memoria di ciò che mamma mi disse al tempo. Ciò che è certo, però, è che qualunque cosa abbia detto, l’avrà fatto in modo da non alimentare in noi alcun tipo di preoccupazione o ansia…» spiega Benedetta, portavoce anche del pensiero di Francesca. «Mamma è sempre stata così, voleva l’ansia tutta per sé per alleggerire il carico emotivo agli altri. Solo crescendo ci si rende consapevoli anche di questo, delle ansie e di tutte le paure che hanno travolto la famiglia in quegli anni. Fa rabbia, è vero, ma come biasimarli. Dopotutto come puoi spiegare a parole a un bambino che ha il cancro? Come puoi spiegare a un bambino che il suo compagno di stanza non c’è più ma non perché è guarito? Come puoi spiegare a un bambino che magari non risponderà alla cura in modo corretto/sufficiente?»
Un quesito, questo, che non può avere risposta. Solo al pensiero di dover dare una notizia simile a un bambino, il cuore di chiunque salterebbe un battito.
Intanto, mentre Francesca è più espansiva, Benedetta si contraddistingue per due cose: «Ero eccessivamente silenziosa e caratterialmente molto sensibile.»
Ed ecco che qui, l’essere insieme alla sorella gemella, poter avere “una spalla”, qualcuno che vive la sua stessa situazione e a cui è legata, la aiuta non poco. E anche Francesca trova conforto da questa unione potente.
«Avere Francesca al mio fianco penso sia stato molto importante: in primo luogo perché non mi sono mai sentita sola, in secondo luogo perché lei mi ha sempre infuso tanto tanto coraggio. Ci siamo sempre fatte, nel silenzio, forza a vicenda.»
L’unione: è la forza che salva, che dà conforto, che infonde coraggio e sicurezza. Non erano sole, Bg e Fg, erano lì, l’una per l’altra.
«Da quando ho iniziato gli scout ho sempre pensato che la vita fosse una bella strada di campagna… qualche volta piove, altre volte il tempo è sereno, poi ci sono le salite e le discese, ma solo quando si giunge all’accampamento successivo si prende coscienza di ciò che la strada ti ha dato. La strada ti darà sempre qualcosa, anche se i sentieri su cui hai camminato li hai odiati dal primo istante. Questo percorso ha avuto tanti alti e tanti bassi, ma non nego che per tanti anni l’ho odiato» continua il racconto di Benedetta. «La prima domanda che ti fai quando cresci è: “Ma perché io sono qui, viva, e quel bambino o quella bambina no?” E così, per tanto tempo, mi sono domandata ciò, ma non ho mai ottenuto una risposta soddisfacente. Ho passato tanto tempo a piangermi addosso, ma alla fine ho fatto di questa esperienza la mia forza. Mi piace pensare che tutti i bambini che mi hanno accompagnato in questo percorso, anche se ora non sono più vivi, siano sempre con me. Mi hanno accompagnato a ogni mio esame universitario, fino al giorno della laurea e mi tengono compagnia tuttora che faccio la magistrale.»
Il suo sogno è diventare Biologa, ricercare in campo oncologico. «È sempre stato questo il mio obiettivo. Lo faccio sia per me ma principalmente per tutti loro che non ci sono più. Sono la mia forza.»
Il sogno di Francesca? Be’, mettersi al servizio degli altri tramite l’insegnamento. .
«Onestamente a me non ha influenzato questo avvenimento, ho sempre puntato a diventare insegnante e continua a essere il mio obiettivo.» racconta. «Trovo fondamentale il ruolo educatoriale che svolge un insegnante sia per instradare i ragazzi verso un determinato obiettivo, ma anche per sostenerli nella crescita. In particolare, io vorrei insegnare in un liceo perché penso sia il momento più importante della formazione di una persona: è quell’arco di vita in cui si ha una crescita maggiore e sicuramente si affrontano più alti e bassi. Per il resto sono sempre una persona a cui piace fare volontariato, all’occorrenza faccio anche molta beneficenza, sostengo sempre associazioni come AIL, AIRC, quando ho frequentato gli scout ho avuto molti modi di esprimere al meglio il mio lato generoso e servizievole. Spero un giorno di poter intraprendere nuovamente questo percorso di servizio.»
Entrambe al servizio delle persone, l’una da ricercatrice medica, l’altra da insegnante: perché, checché se ne dica, sono le persone che affrontano percorsi ostici, costellati di difficoltà, a sviluppare l’empatia più sana e genuina.
E che siano benedetti i lieto fine.
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