Dall’Inghilterra all’Isola, tra insegnamento e divulgazione sulla sclerosi multipla, sua compagna di vita: Stefania Unida e il suo percorso
La morte del papà la riporta, dall’Inghilterra, alla sua Isola, con la sclerosi multipla da tenere sempre per mano, compagna di vita: Stefania Unida e il suo percorso, da geo-scienziata e docente in Inghilterra, a insegnante in Sardegna, con la missione della divulgazione su quella patologia che è diventata parte di lei. «Io sono "meno abile", invalida fisicamente, ma cerco nel mio piccolo di essere un'insegnante coinvolgente e "contagiosa", come gli organismi patogeni che amo insegnare ai miei studenti. Ho ancora l’entusiasmo di crescere con loro, nonostante le difficoltà della vita. Si impara e si cresce sempre, insieme a loro. E questa è la vera missione.»
Anni: 41. Professione qualche anno fa: geo-scienziata e docente in Inghilterra. Professione oggi: docente di Scienze e Matematica in lingua inglese alle medie in una scuola paritaria a Cagliari. Segni particolari: coraggio e voglia di mettersi in gioco.
Sì, perché Stefania Unida ha vissuto non una, ma mille vite e il suo percorso è stato pieno. E ha tanto da insegnare: oggi lo fa nelle aule scolastiche e sui social, dove dispensa consigli su quella che è una sua compagna di vita, la sclerosi multipla.
Abbiamo detto, prima Inghilterra – con una bellissima casa nel verde Hampshire – e poi ritorno nell’Isola… ma dobbiamo tornare un po’ indietro per comprendere le ragioni di un ritorno, ragioni che odorano di legame, di Sardegna, di famiglia e di ricostruzione di se stessi.
Stef – come la chiamano tutti – nasce nel 1982 a Cagliari, prima si laurea in Scienze della Natura, poi master e dottorato in Scienze della Terra tra Cagliari e Utrecht, in Olanda presso il Dipartimento LPP. «Sono specializzata in microgeobiologia (geoscienziata, ovvero in ricostruzioni paleoambientali e datazione di rocce antiche a partire da fossili di microrganismi unicellulari quali dinoflagellate, funghi e alghe freshwater).»
Il suo sogno? Conoscere nuove culture, vivere all’estero. «La vita isolana mi è sempre pesata e il dottorato a Utrecht mi aveva aperto un mondo di possibilità di espressione, non solo nell’ambito scientifico ma anche nel mondo della divulgazione e della scrittura creativa che avevo iniziato ad amare come attività di hobby. Ho vissuto in Inghilterra per 12 anni, dove prima ho lavorato come consulente scientifica nel settore energetico, e poi come insegnante e assistente professionale allo sviluppo.»
Dopo Barcellona e Utrecht, rotta quindi verso l’Inghilterra nel 2011.
«Uno dei miei ricordi più vividi da bambina sono le mani di un anziano medico che mi rassicurano prima di un esame del sangue. Una stanza d’ospedale semivuota con mio papa che mi accompagnava sempre, in attesa dell’abbondante colazione che mi aveva promesso mentre mi teneva per mano. Non era il primo prelievo, ma ricordo bene un giorno in particolare: era primavera e c’era un bel sole a Cagliari, la mia città natale» racconta Unida. «Avevo un problema alla tiroide fin dalla nascita e purtroppo stavo per iniziare un lungo percorso che mi avrebbe portato a considerare i medici quasi alla stregua di amici, rassicuranti. Mi sono tenuta questo ricordo nel cuore e sono partita così pensando che seppur da “paziente” avrei girato il mondo, da sola. Una valigia di sogni e speranze, un bagaglio culturale sufficiente con un dottorato di ricerca, e un po’ di rabbia. Ed anche una grande amarezza verso quello che doveva essere il Paese del mio futuro. L’Isola mi è mancata, ma ho vissuto esperienze straordinarie, ho conosciuto delle persone meravigliose in Inghilterra. Talvolta, mi sono sentita inappropriata, o triste, o nostalgica, ma col tempo mi sono abituata al freddo inglese, alle poche ma preziose giornate di sole, mi sono abituata anche alla pioggia, alla vita da pendolare e all’odore della terra bagnata. A volte, quando sono stata triste, ho pensato al mare della mia città e al suo sole caldo e dolce. Questa è stata la mia vita per tanti anni, e non cambierei i miei ricordi con quelli di nessun altro perché c’è sempre un motivo per essere felici, anche nella malinconia di chi vive all’estero, anche da paziente.»
Poi una terribile notizia si abbatte su di lei.
«Dapprima i sintomi erano “minori” e comunque non importanti da definire clinicamente una diagnosi di SM. Si trattava di formicolii, pesantezza, fatica estrema, mal di testa lancinanti, etc. I medici mi avevano sottoposto a svariati test ed esami clinici senza arrivare ad una diagnosi certa» spiega. «Sei mesi dopo la partenza in Inghilterra, proprio mentre trascorrevo la mia prima vacanza in Sardegna per riabbracciare amici e familiari, poche ore prima del mio ritorno in Inghilterra, mi accorsi di avere la vista dall’occhio sinistro estremamente offuscata. Pensai che fosse solo un problema passeggero, ma sfortunatamente a Chester, dove vivevo al tempo, giunse il primo vero campanello d’allarme: “Focolai demielinizzanti: potresti avere la sclerosi multipla”, mi dissero. Tuttavia, solo in Sardegna, a Cagliari nel centro sclerosi multipla dell’ospedale “Binaghi”, ci fu la conferma definitiva: sclerosi multipla recidivante remittente. Così iniziai la mia “avventura” con una nuova compagna di viaggio per la vita, perché la sclerosi multipla non uccide, ma è per sempre. L’immagine della mia persona al momento della diagnosi si proiettò immediatamente su una sedia a rotelle e per questo motivo, iniziai a cercare informazioni online, senza mai trovare nulla di personale che mi potesse aiutare ad affrontare la diagnosi e quell’idea di futuro effimero che mi lasciò spaesata. Shock, ottimismo, confusione, isolamento, ansia, speranza, paura, rabbia, panico, tristezza, sollievo: sono solo alcune delle reazioni che i neo-diagnosticati sperimentano. A volte chi ci sta intorno, e soprattutto i medici con cui siamo purtroppo costretti a relazionarci spesso, non ci comprendono a fondo. Questo succede perché la sclerosi multipla è una malattia invisibile. Siamo pazienti incompresi: malati eppure la gente dà per scontato che non lo siamo. La sclerosi multipla infatti non è visibile sulla pelle, non abbiamo niente di rotto, non abbiamo cicatrici da coprire; non abbiamo alcun segno visibile che mostra il nostro male, o come e quanto stiamo soffrendo. Non abbiamo lividi, eppure siamo malati. La frustrazione che ne deriva è spesso insopportabile e in qualche modo ci fa ammalare di più, perché ci si sente quasi in colpa a non avere degli evidenti difetti sul corpo.»
E, nel 2021, un’altra notizia terribile. Una telefonata della mamma e il mondo di Stef si rovescia, si sconvolge. Il papà non ce l’ha fatta. E i biglietti per tornare a casa.
«Terribile, inaspettata: non avevo risposto subito al telefono perché stavo praticando una meditazione yoga. Ricordo poi l’incubo delle telefonate infinite, delle parole non dette, dei messaggi vocali di papà con un filo di voce rauca e tesa, quasi trattenendo il respiro. Ho deciso di tornare in Sardegna troppo tardi, ma improvvisamente senza pensarci troppo, pur avendo la mia bella casa immersa nel verde Hampshire. Col sostegno dei miei amici più cari, ho inscatolato le cose essenziali per spedirle a casa di mamma, ho regalato tutti i miei mobili (armadio, letto, tavoli, sedie, oggetti ormai vecchi) e anche gran parte dei miei vestiti. Mi sono liberata di tante cose, come in un rito per un nuovo inizio, per tracciare una linea di separazione fatta di ricordi e nuove speranze, e così sono partita.»
Oggi la professoressa Unida lavora a contatto con gli studenti, insegna loro Scienze e Matematica in lingua inglese ma non solo: anche a farcela nonostante tutto. Lo stesso “nonostante tutto” che è capace di cambiare il mondo, di salvare le persone.
«Insegno a ragazzi a mio avviso talentuosi, di un’età difficile e complessa, durante la quale il cervello inizia a sviluppare un senso del “gruppo” coeso, alla ricerca dell’accettazione del sé in balia dei venti della pubertà in un mondo che alla superficie appare un po’ vuoto. Ammetto che vorrei insegnare loro anche le cose apprese durante i miei studi inglesi di neuroscienze e sviluppo dell’infanzia/adolescenza. I giovani sono per me una fonte incredibile di forza e ispirazione. Vorrei insegnare loro, oltre all’amore per le Scienze, a guardare lontano, a quello che succede nel mondo. I giovani sono sognatori curiosi. Vorrei che nella società odierna così votata alla superficialità, non crescessero miopi, disinteressati, anche della conoscenza. Vorrei che vedessero le cose che accadono vicino a loro, interessandosi di più a quello che succede lontano.
Mi riferisco ai giovani, agli studenti di oggi, come adulti di domani, persone che cresceranno nella società a cui appartengono, facendola progredire e lasciando alla generazione successiva un mondo migliore di quello che hanno trovato.»
Si occupa anche di fare divulgazione sulla sua compagna di vita, la sclerosi multipla. Fa video su Instagram, dà informazioni, aiuta nella gestione chi ne è affetto e sensibilizza sul tema chi non sa cosa sia.
«Ho iniziato raccogliendo informazioni sulla diagnosi. In quel primo periodo copiavo e incollavo i documenti che tenevo per me, poi conobbi un’altra persona con la sclerosi multipla su Facebook, per caso, e da quel momento nacque la voglia di rendere quei documenti pubblici. Così, un anno dopo la diagnosi è nato il blog che mi ha permesso di collaborare con magazine online (Vivibene e 2A News) per i quali avevo ideato rispettivamente una rubrica per dar voce a tutti i ragazzi che hanno vissuto la diagnosi di sclerosi multipla (Real Stories) e una rubrica in cui raccontavo esperienze curiose e fatti bizzarri. Altre rubriche del blog erano incentrate sulle mie esperienze di vita in Inghilterra (Life in UK) o ricalcavano semplicemente la mia passione per la scrittura creativa, dai brevi racconti noir ai miei pensieri biografici. Tuttavia, la maggior parte dei miei articoli era di stampo scientifico. Essendo scienziata ed avendo accesso a molte riviste online, infatti, preferisco leggere le news mediche direttamente dalle fonti più autorevoli o dai journals scientifici. Spesso tali articoli sono di difficile lettura o comunque estremamente tecnici; pertanto nei blog ho sempre cercato di “riscrivere” il contenuto con un linguaggio più accessibile per mantenendo la veridicità e l’autorevolezza del contenuto originale. Per un periodo ho smesso di scrivere, per un aggravamento della malattia per poi tornare alla scrittura un anno fa, tramite il social Instagram che uso tuttora. Credo che la scrittura possa essere di grande aiuto per chi, come me, deve convivere con questa malattia incurabile. In questi anni ho potuto constatare che una reazione umana molto comune è quella di mantenere un atteggiamento di negazione e di paura nei confronti della malattia. Molte persone subito dopo la diagnosi si rifiutano completamente di affrontare la sclerosi multipla negandola; altri però trovano più facile prendere il controllo della situazione e vanno alla ricerca di informazioni e di aiuto. E anche oggi, il mio messaggio è lo stesso semplice messaggio di sempre. Vi incoraggio ad accettare e amare voi stessi in ogni momento, anche quando vi sentite “sbagliati”. Ricordatevi che siete belli dentro e fuori. Stiamo combattendo con coraggio ogni giorno una malattia cronica e difficile. Quando sorgono in voi sentimenti di inadeguatezza e insicurezza, ricordate a voi stessi che siete abbastanza forti per questo e che anche questo passerà. Siamo combattenti coraggiosi, belle persone meravigliosamente forgiate da una vita diversa e forse per molti incomprensibile. Vi lascio con una frase di James Baldwin: “Non tutto ciò che ci si trova di fronte può essere cambiato, ma nulla può essere cambiato fino a quando non ci si trova di fronte”.»
E l’insegnamento è, per lei, una parte fondamentale di vita, anche se non lo definirebbe “missione”: «Utilizzare la parola “missione” è un po’ pericoloso, perché evoca un mondo diverso da quello che è, o dovrebbe essere, insegnare: evoca l’immagine di un lavoro che si fa per completa dedizione, come immolarsi o sacrificarsi gratuitamente. Nella mia vita all’estero, ma anche qui in Italia, ho incontrato tanti tipi di insegnanti: insegnanti per caso, insegnanti che non sanno bene cosa devono insegnare, ma che si sforzano ad imparare come possono, insegnanti che non conoscono le ‘regole’ della didattica, insegnanti frustrati, perché magari hanno sbagliato mestiere, insegnanti che non sanno porsi in relazione con gli studenti pur avendo una grande preparazione, ed insegnanti depressi, perché non sono riusciti a trovare il posto che desideravano. Poi si vedono insegnanti per vocazione: insegnanti competenti, preparati, che sanno motivare e coinvolgere gli alunni. Non tantissimi, ma neppure pochi. Infine, ci sono gli insegnanti e basta. Insegnanti che lavorano onestamente, senza sperimentare nulla di nuovo. Tutti quanti giustamente prendono lo stesso stipendio o quasi. Non c’è di fatto differenza tra chi non svolge bene il proprio lavoro e chi lo fa con passione e questo vale in tutti i mestieri. Alla base di tutto ci deve essere sempre passione, non si può insegnare senza passione, senza vocazione educativa. Io sono “meno abile”, invalida fisicamente, ma cerco nel mio piccolo di essere un’insegnante coinvolgente e “contagiosa”, come gli organismi patogeni che amo insegnare ai miei studenti. Ho ancora l’entusiasmo di crescere con loro, nonostante le difficoltà della vita. Si impara e si cresce sempre, insieme a loro. E questa è la vera missione.»
E la mamma, dopo un iniziale momento di incertezza legato al conoscere il desiderio di libertà della figlia, ha fatto tesoro del suo ritorno: le due ora sono fortemente unite.
«Per il momento penso e credo di voler stare qui in Sardegna, vicino alla terra che mi ha cresciuta, vicino agli affetti familiari. Vorrei continuare a fare ricerca se possibile con le Università internazionali con le quali sono ancora in contatto, e continuare il mio lavoro di insegnante di Scienze e Matematica nella scuola media. Continuerò anche per vocazione a fare divulgazione scientifica tramite i social (Instagram – il contatto è Prof_drgeek). Mi piacerebbe moltissimo collaborare con giornali locali e con l’AISM Nazionale e quello della mia città con piccoli progetti di condivisione, per aumentare la consapevolezza sulla patologia.»
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