Lo sapevate? In Sardegna esiste il Museo del Carbone: ecco dove

Il progetto per il recupero e la valorizzazione del sito ha reso fruibili gli edifici e le strutture minerarie che oggi costituiscono il Museo: ecco come e quando visitarlo
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Il sito minerario di Serbariu, attivo dal 1937 al 1964 nel Sulcis, ha caratterizzato l’economia del Sulcis e rappresentato tra gli anni ’30 e ’50 una delle più importanti risorse energetiche d’Italia. Il complesso è stato recuperato e ristrutturato a fini museali e didattici. Il progetto per il recupero e la valorizzazione del sito ha reso fruibili gli edifici e le strutture minerarie che oggi costituiscono il Museo del Carbone.
La visita include i locali della lampisteria, della galleria sotterranea e della sala argani.

PH Museo del carbone
Nella lampisteria ha sede l’esposizione permanente sulla storia del carbone, della miniera e della città di Carbonia. L’ampio locale accoglie una preziosa collezione di lampade da miniera, attrezzi da lavoro, strumenti, oggetti di uso quotidiano, fotografie, documenti, filmati d’epoca e videointerviste ai minatori.
La galleria sotterranea mostra l’evoluzione delle tecniche di coltivazione del carbone utilizzate a Serbariu dagli anni ’30 fino alla cessazione dell’attività, in ambienti fedelmente riallestiti con attrezzi dell’epoca e grandi macchinari ancora oggi in uso in miniere carbonifere attive.
La sala argani, infine, conserva al suo interno il macchinario con cui si manovrava la discesa e la risalita delle gabbie nei pozzi per il trasporto dei minatori e delle berline vuote o cariche di carbone.
Cento anni fa una Chiesa sarda fu letteralmente smontata e rimontata pezzo dopo pezzo: sapete dove?

Un secolo fa, una chiesa sarda compì un “trasloco” davvero straordinario: fu smontata pietra dopo pietra e ricostruita in un nuovo luogo, come se fosse un gigantesco puzzle.
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Un secolo fa, una chiesa sarda compì un “trasloco” davvero straordinario: fu smontata pietra dopo pietra e ricostruita in un nuovo luogo, come se fosse un gigantesco puzzle.
Era il 1923 quando si decise di spostare la piccola Chiesetta di San Pietro di Zuri, nel territorio di Ghilarza, dal fondo della vallata a un’altura poco distante. Il motivo? Proprio dove sorgeva, di lì a poco, sarebbe nato il lago più grande della Sardegna: l’Omodeo. La creazione del nuovo invaso artificiale avrebbe sommerso l’antico villaggio di Zuri, costringendo gli abitanti a ricostruire le loro case altrove.
Ma cosa fare di una gemma architettonica come la Chiesa di San Pietro? Non era una semplice casa: era un raro esempio di romanico lombardo con accenti gotici, progettata da Anselmo da Como intorno al 1290, tutta in pietra da taglio. La facciata mostrava tre arcate a pieno centro su massicci pilastri, e il portale era scolpito con figure della Madonna, di San Pietro e di altri santi, un piccolo tesoro di arte e devozione.
Non restava che salvarla dall’acqua. Così, si decise di smontarla con cura, mattone dopo mattone, e di rimontarla come un enorme mosaico di roccia lavica. I lavori si conclusero nel 1923, e nell’aprile del 1924 la chiesa fu inaugurata alla presenza del re Vittorio Emanuele III.
Oggi, la Chiesa di San Pietro continua a splendere nel nuovo borgo di Zuri, in via Galliano 10, testimone di un’incredibile avventura che l’ha salvata dall’oblio e dalle acque del lago.

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