Credenze popolari sarde. Perché si dice porti male rovesciare olio e sale?
In Sardegna ( ma non solo) per tanto tempo si è creduto che rovesciare olio e sale portasse sfortuna. Oggi vi spieghiamo quali sono le ragioni – molto antiche – alla base di questa credenza popolare.
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In Sardegna ( ma non solo) per tanto tempo si è creduto che rovesciare olio e sale portasse sfortuna. Oggi vi spieghiamo quali sono le ragioni – molto antiche – alla base di questa credenza popolare.
Ci sono molte credenze popolari che si tramandano da generazioni in cucina, ma le più famose e conosciute sono quelle relative all’utilizzo di sale e olio.
Il sale, da sempre considerato un bene pregiato, era utilizzato già dagli antichi Romani come strumento di commercio e di pagamento ( da qui il termine “salario”). Rovesciare accidentalmente sale sulla tavola è considerato quindi un presagio di sfortuna e in particolare un segno che denota una futura perdita di denaro.
Inoltre, è molto diffusa la credenza che il sale “non debba passare di mano in mano”, perché in un passaggio della Bibbia si dice che Giuda avesse sparso del sale poco prima di tradire Gesù nell’ultima cena.
Simile è il caso dell’olio. L’olio, tanto apprezzato da essere conosciuto come “oro liquido”, è sempre stato considerato un alimento prezioso e ricco sin da tempi antichi. Involontariamente sciupare dell’olio, versandolo sulla tavola o a terra, è ritenuto un simbolo di spreco e di una sorta di maledizione: un annuncio di sventura e povertà.
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Perché diciamo “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”?

Questo proverbio nasce nella cultura contadina italiana. Capiamo insieme perché sia usato così spesso
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Tra i proverbi italiani più noti spicca “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”.
Questo proverbio nasce nella cultura contadina italiana. Il Natale, festa della nascita di Cristo, era considerato un momento sacro da trascorrere rigorosamente in famiglia: un’occasione per rafforzare i legami, scambiarsi doni e gustare piatti tipici preparati secondo ricette tramandate di generazione in generazione.
La Pasqua, invece, celebrava la Resurrezione e la fine della Quaresima. Pur avendo un forte significato religioso, storicamente offriva più libertà: era il momento giusto per viaggiare, visitare amici, fidanzati o persone care lontane. Da qui l’idea che a Natale si stia con la famiglia, mentre a Pasqua si possa scegliere la compagnia.
Un’interpretazione religiosa di questa tradizione richiama un episodio del Vangelo: il giorno della Resurrezione, Gesù appare a due discepoli in cammino verso Emmaus, a pochi chilometri da Gerusalemme. Per ricordare questo incontro, il lunedì successivo a Pasqua, ovvero Pasquetta, è usanza fare scampagnate e “gite fuori porta”, rievocando simbolicamente il viaggio dei discepoli.
Oggi il proverbio non è solo un richiamo alle tradizioni, ma anche un simbolo di equilibrio tra legami familiari e libertà personale. Ricorda quanto sia importante mantenere vivi i rapporti con chi ci è più vicino, ma anche concedersi di incontrare nuove persone e vivere esperienze diverse.
In un’epoca in cui le famiglie sono spesso divise tra città e regioni diverse, il detto conserva un fascino nostalgico: Natale resta il momento dei ritrovi familiari, mentre Pasqua può trasformarsi in un’occasione di svago, gite e nuove avventure.
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