Autrice di thriller, transgender e impegnata nella tutela dei bambini autistici: un tuffo nel percorso di Sabrina Mills

Nel suo ultimo thriller, anche l’ispettrice Elena Masala è transgender: «Non ci sono molti libri che parlano di transgender, e forse nessuno nel quale rivestono un ruolo del genere. Pur con una sospensione della realtà (oggi una persona transgender non può entrare in polizia, né potrebbe arrivare a esserne ispettrice) ho voluto mostrare la vita di una persona che casualmente è anche transgender».
Classe 1970, autrice di thriller psicologici, impegnata nell’aiuto di soggetti svantaggiati, transgender anche se, come specifica, non a tempo pieno: Sabrina Mills, che per lavoro dirige una cooperativa sociale e un’associazione che si occupa di inclusività per bambini autistici, ha all’attivo due romanzi e molti racconti, alcuni insigniti in alcuni concorsi, ha alcuni lavori in fase di editing mentre altri attendono pazienti il loro turno su una penna USB.
Il suo nuovo libro, “Ancora un’altra”, è uscito da poco e già fa parlare di sé. In esso, un’ispettrice di polizia deve stanare un’assassina mossa da spirito umanitario.
Ma partiamo dalle basi, perché quello che la Mills fa per aiutare a includere nella società chi, per ignoranza e stupidità, viene tenuto fuori, ai margini, è strabiliante. «Ho sempre avuto un occhio di riguardo su certe tematiche considerate come un fastidio dalla cosiddetta società civile» racconta. «Spesso è l’ignoranza che porta le persone a vedere i soggetti svantaggiati come un problema; lo era diversi anni fa l’inserimento nella scuola, nel mondo del lavoro, nella comunità. E spesso lo è ancora. Il terzo settore, che riassume tutti gli enti che si occupano di volontariato o attività sociali, è in continua crescita a causa di un progressivo smantellamento della sanità pubblica, dei servizi sociali (sempre più richiesti e con sempre meno risorse). La nostra idea di solidarietà e supporto a queste persone – e in prima battuta alle loro famiglie – è sempre stata quella di provare a offrire loro un futuro. La visione del disabile, della persona autistica o down, è sempre stata relegata in casa a dipendere dai genitori e a carico dello Stato. Noi siamo convinti che, come già successo con chi ha la sindrome di down, l’indipendenza e una famiglia propria sia possibile per tutti. Grazie a supporti educativo-professionali atti a individuare le potenzialità di ognuno e con successivi percorsi di inserimento lavorativo, portiamo i soggetti con disturbo dello spettro autistico a rendersi indipendenti, a vivere da soli o in condivisione con altri, ma lontani da quel cordone ombelicale che sono i genitori. Pur lavorando con tutte le fasce di età, bambini compresi, ci siamo dedicati a chi, una volta terminato il ciclo di studi obbligatorio e raggiunta la maggiore età, viene di fatto abbandonato a sé stesso e alla sua famiglia.»
Transgender, ma non a tempo pieno, abbiamo detto, ma vediamo come.
«Prima è meglio chiarire che significa transgender» spiega. «Fa riferimento a quelle persone che non si riconoscono nel modello dicotomico maschio/femmina; questo comporta una discordanza della propria identità di genere (sentimento interiore e profondo di appartenere al genere maschile, femminile o altro) rispetto al sesso assegnato alla nascita, ma senza intraprendere un percorso di modificazione dei caratteri sessuali primari e secondari. Transgender è quindi un termine ombrello che comprende tutte quelle persone che non riescono a riconoscersi o a identificarsi nei modelli socio-culturali attuali di identità e ruolo di genere.»
Insomma, come chiarisce, è un termine relativamente nuovo che ha sostituito in parte quello di transessuale, più specifico per chi ha portato a termine un percorso di transizione.
«Per diversi motivi, lavorativi, familiari, sociali, non ho la possibilità di vivere liberamente e appieno secondo quel sentimento interiore e profondo»rivela. «Ciò non mi vieta di ritagliarmi degli spazi pubblici fatti di piccoli gesti quotidiani che molti magari vivono con sufficienza. Vado in banca, viaggio, faccio compere, soffro dall’estetista come qualunque altra donna. La prima volta che ho viaggiato, diretta a Milano per la premiazione di un concorso letterario, l’ho vissuta con un’ansia terribile. Mi sono passati per la testa i più disparati imprevisti. Dalla rottura di un tacco all’umiliazione pubblica durante i controlli di sicurezza. Invece tutto è filato via liscio, come se fosse la cosa più normale a questo mondo. Per loro ero solo una dei tanti viaggiatori. E per fortuna non si sono rotte le scarpe.»
Tornando alla sua ultima fatica letteraria, il fatto che anche l’ispettrice di polizia sia transgender fa chiedere quanto della Mills sia presente tra le righe.
«In realtà di mio c’è poco, se non alcuni modi di pensare e vedere la vita. Ma c’è molta Sardegna, visto che la protagonista ha origini sarde» racconta. «Durante una presentazione mi hanno fatto la stessa domanda sulla scelta del personaggio. Ho risposto: perché no? Non ci sono molti libri che parlano di transgender, e forse nessuno nel quale rivestono un ruolo del genere. Pur con una sospensione della realtà (oggi una persona transgender non può entrare in polizia, né potrebbe arrivare a esserne ispettrice) ho voluto mostrare la vita di una persona che casualmente è anche transgender.»
Esatto, non può, perché – come la Mills sottolinea prima di continuare il discorso sulla sua protagonista – il nuovo concorso per entrare in polizia inserisce la disforia di genere tra i motivi invalidanti. «Curioso, perché sembra dire che una persona transgender non sia abile a entrare nel corpo di polizia, ma se la transizione avviene dopo essere stata già dichiarata abile, allora non ci sono problemi. Se la disforia è un problema, dovrebbe esserlo sempre. Oppure mai.»
«La mia protagonista ha una famiglia, degli amici, un lavoro pubblico. Il suo orientamento sessuale e di genere è un fatto secondario alla storia, non la condiziona. Ma allo stesso tempo è importante che si sappia perché quegli orientamenti non devono essere di intralcio a nulla nella vita di persona, che sia privata o pubblica. Quello che però può essere considerato in parte autobiografico, è il primo libro che ho scritto e pubblicato nel 2020, un romanzo breve che racconta dello strano incontro tra un crossdresser e una donna vittima di violenza da parte del marito. In un mutuo supporto, i due riusciranno a risolvere i loro conflitti interni e dare un radicale cambio alle loro vite.»
In più, l’assassina di “Ancora un’altra” è mossa da spirito umanitario. Parrebbe presente una morale, un insegnamento nascosto.
«Anche se il fine è l’uccisione di persone innocenti, forse qualcuno potrebbe capirla, potrebbe arrivare a giustificare ciò che la spinge a farlo; ma è un sottilissimo filo che separa lo sdegno dalla comprensione. Non c’è una morale vera e propria, né un messaggio che vorrei far passare. Anche perché, e mi riaggancio a quanto detto sopra, “Ancora un’altra” non è un libro che parla di una transgender. Ma la utilizza come veicolo per mostrare a chi legge – ma soprattutto a chi ancora vede in loro una malattia, un disturbo – che avere un orientamento sessuale e di genere diverso dalla cosiddetta normalità binaria non deve pregiudicare nulla. Come non lo deve essere il colore della pelle, il credo religioso, politico. Ciò che deve importare è il contenuto delle persone, ciò che hanno da dare e da dire; i loro pensieri, sentimenti. Ad ogni modo, se dovesse arrivare questo come messaggio e insegnamento ne sarei davvero felice.»
E Sabrina Mills – pur essendo ottimista per natura, o irresponsabile come si definisce scherzosamente – non ha grandi aspettative. «Non per me che ho già una certa età per compiere scelte definitive, quanto per le generazioni successive. Vedo troppa incertezza da parte della politica, poca attenzione reale e pochi fatti concreti per la società. E non parlo solo di parità di diritti. Tutto è troppo indirizzato all’aspetto economico e poco a quello sociale e del benessere collettivo. E in quella che sta diventando una guerra tra poveri, la comunità lgbti+ e le minoranze etniche sono quelle che risentono ancora di più. Però sognare non guasta» aggiunge. «Un’amica, credo più pazza di me, vorrebbe aprire un locale all’estero e mi vorrebbe con sé. La cosa mi stuzzica parecchio, quindi sì, mi vedo seduta a un tavolino con il portatile davanti, un bicchiere di Cuba libre e una sigaretta tra le dita, magari davanti a un tramonto in riva al mare. Una nouvelle Hemingway, insomma.»
E, per concludere, l’autrice 52enne si pone una domanda.
«“Se avessi la bacchetta magica, cosa cambieresti della tua vita?” mi chiederei. Spesso mi sono ritrovata, prima di addormentarmi, a desiderare di poter tornare indietro nel tempo. Se avessi la bacchetta magica tornerei indietro di trent’anni per poter fare scelte diverse, convincermi che tutto andrà per il meglio e che il mio futuro potrà essere quello che ho sempre sognato. Mi dedicherei più tempo perché fino ad ora ho sempre messo gli altri davanti ai miei desideri e alle mie esigenze. Ovviamente con il senno di oggi, che se no, ingenua com’ero, vivrei per la seconda volta la stessa vita. E sai che palle!»

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