Le donne che ci piacciono. La libraia Maria Luisa Siddi e la sua scommessa all’ombra del Bastione

35 anni, da 17 anni libraia ( gli ultimi dieci trascorsi nella Feltrinellipoint di Via Paoli a Cagliari), laureata in Lingue europee ed extraeuropee, appassionata di cultura e letteratura giapponese e - ovviamente - inarrestabile lettrice, Maria Luisa si è buttata in questa nuova avventura/scommessa perché «in un periodo in cui le librerie cadono come le mosche d’autunno, noi scommettiamo sull’amore per i libri e sull’importanza di tessere e coltivare i rapporti, perché l’empatia e la professionalità sono fondamentali contro colossi come Amazon».
A febbraio la storica libreria cagliaritana Il Bastione ha riaperto i battenti. A guidarla, insieme al giovane imprenditore Alessandro Berlucchi, Maria Luisa Siddi.
35 anni, da 17 anni libraia ( gli ultimi dieci trascorsi nella Feltrinellipoint di Via Paoli a Cagliari), laureata in Lingue europee ed extraeuropee, appassionata di cultura e letteratura giapponese e – ovviamente – inarrestabile lettrice, Maria Luisa si è buttata in questa nuova avventura/scommessa perché «in un periodo in cui le librerie cadono come le mosche d’autunno, noi scommettiamo sull’amore per i libri e sull’importanza di tessere e coltivare i rapporti, perché l’empatia e la professionalità sono fondamentali contro colossi come Amazon».
Superato il lockdown, Isa è tornata operativa all’ombra del monumento di Saint Remy, nella libreria battezzata dall’intellettuale cagliaritano Raimondo Carta Raspi e che ospitò Emilio Lussu, Luigi Crespellani e Giuseppe Dessì.
Conosciamola meglio.

Poco prima del lockdown, con alcuni amici, hai deciso di buttarti in un’avventura rischiosa: rilevare la libreria più antica di Cagliari, dopo 17 anni di lavoro dipendente in un’altra attività. Quando e perché avete deciso di fare questa scommessa? Che difficoltà avete incontrato e chi, invece, a vario titolo vi ha sostenuti in questa non facile decisione?
Uscivo da un periodo particolare della mia vita, a Luglio dell’anno scorso è terminata, lavorativamente parlando, una delle esperienze più formative vissute nel mondo dei libri: la collaborazione con il gruppo Feltrinelli. Dieci anni importanti e bellissimi che mi hanno insegnato tanto sul mondo del libro. Diciamo che mi sono trovata ad un bivio e a dover scegliere se provare a realizzare quello che è sempre stato un sogno nel cassetto, avere una libreria tutta mia. Famiglia e amici da subito hanno sostenuto la nostra scelta, la difficoltà maggiore l’abbiamo riscontrata invece a livello burocratico: essendo una start up abbiamo dovuto aspettare le lungaggini burocratiche del sistema Stato. Facendo un passo indietro, in fase di trattativa abbiamo dovuto competere con altri colleghi che erano interessati alla libreria più antica della città!
La libreria era rimasta chiusa per diverso tempo. Voi l’avete fatta rinascere. Come vi ha accolto lo storico quartiere? Che novità avete introdotto e cosa, invece, avete tenuto della vecchia gestione?
Il quartiere ci ha accolto fin dall’allestimento con grande entusiasmo e calore. Ci siamo sentiti subito parte di un vicinato all’antica, quelli dove ci si da sempre una mano a vicenda. La nostra idea è sempre stata quella di creare un ambiente accogliente dove il lettore potesse trovare rifugio e sentirsi a casa. Abbiamo messo delle luci calde, tante piante, un salotto e degli sgabelli di fronte alla finestra che si affaccia sul Bastione. Preparato una nicchia per i lettori più piccoli con tavolino e sedie su misura. Ci sono poi le mongolfiere che sembrano fluttuare tra il primo e il secondo piano, ci siamo immaginati la libreria dei nostri sogni, sperando che si avvicinasse anche ai gusti dei nostri lettori. Della vecchia gestione abbiamo tenuto gran parte degli scaffali e il bellissimo bancone in legno.

Quello della rinascita è un bellissimo concetto, si evoca l’immagine di un atto che restituisce una nuova forma di vita. Insieme alla libreria, ti sei sentita rinascere anche tu come donna e come professionista?
E’ stata una bella rinascita anche per me. Ha un bel gusto la sensazione del riscatto, la realizzazione di un sogno e lo stimolo di mettermi in discussione anche come imprenditrice, anche se non ti nascondo che descrivermi in questi termini mi provoca sempre un pochino di disagio! Amo fare la libraia, a far quadrare i conti mi faccio dare una grande mano dal mio socio che si occupa per lo più della parte amministrativa.
Quali iniziative avete portato avanti durante il lock down? In quale modo siete stati vicini ai vostri clienti lettori?
Già prima della chiusura della libreria per il lockdown, l’8 Marzo abbiamo iniziato a consegnare i libri a domicilio. Il senso è stato questo: se i nostri lettori non possono arrivare da noi, andiamo noi da loro. Chiusa la libreria, abbiamo continuato con le consegne, iniziativa presa con grande entusiasmo dai nostri lettori con cui siamo riusciti a mantenere un legame. Legame alimentato da tutte le altre iniziative social che prevedevano videoconsigli sui libri da leggere, pillole letterarie da lettore a lettore, quindi in questo caso era il lettore a mandare un video dove consigliavo un libro a lui caro per i followers della pagina. Abbiamo letto le favole della buonanotte per i più piccoli. Poi sono stati i lettori più piccini a mandare dei videoconsigli per i loro coetanei.
Sono successe cose bellissime durante il lockdown, tramite le consegne siamo riusciti ad accorciare le distanze e fa sentire l’affetto a quelle persone che compivano gli anni, agli anziani che senza il servizio a domicilio non avrebbero potuto ricevere un libro mandato da un figlio residente in un altro comune. Abbiamo spedito libri in Germania, in Spagna, in Grecia, in tutta la Sardegna. Ci siamo avvicinati come abbiamo potuto ai nostri affezionati lettori e a quelli che prima non ci conoscevano e che ora con la riapertura ci siamo emozionati a vedere dietro la mascherina mentre con gli occhi lucidi ci hanno ringraziato per il servizio offerto.

Perché acquistare un libro in libreria e non dalle grandi catene della rete?
Per l’odore dei libri, la chiacchierata e il consiglio del tuo libraio di fiducia, per perdersi tra gli scaffali della libreria, sedersi sul divano o sullo sgabello che da alla finestra con vista Bastione e concedersi dei momenti per se stessi.
Hai già fatto con la mente un piccolo viaggio nel futuro, a quando l’emergenza sanitaria sarà finita e si potrà davvero tornare alla normalità? Hai già in mente iniziative culturali per la libreria? Che danni ha creato il lock down alla cultura ( penso non solo alla crisi degli operatori dello spettacolo ma anche alla chiusura delle scuole).
Abbiamo voglia di rivedere i nostri lettori in libreria, riprendere con le presentazioni con gli autori, firmacopie, laboratori per i bambini, concerti. Eventi che siamo sempre stati entusiasti di organizzare e che ci mancano da morire.
Come è cambiato il mestiere della libraia nel tempo? Secondo te cosa può offrire di più una donna, in questo lavoro?
Sicuramente è cambiata la comunicazione adottata in libreria. I social prima non esistevano, ora sono un canale imprescindibile per farsi conoscere, comunicare e vendere libri. Credo che un punto forza della libraia sia l’empatia. Se riesci ad entrare in sintonia con il tuo lettore che prima non ti conosceva, difficilmente ti abbandonerà.

Secondo te è possibile un’educazione alla lettura? Quali iniziative porterete avanti per bambini e ragazzi? Quanto è importante farli crescere con i libri accanto e persone appassionate?
Assolutamente possibile. Ho sempre organizzato laboratori con bambini a partire dai tre anni di età. Poi quegli stessi bambini li ho visti diplomarsi magari! Credo sia importante entrare in contatto sin dalla più tenera età con l’oggetto libro, ascoltare le storie che inizialmente vengono raccontate, poi il bambino diventa un lettore autonomo capace di affinare i suoi gusti. Fondamentale dal mio punto di vista è lasciar scegliere le letture, li si può indirizzare, ma l’ultima parola va sempre al lettore in erba! Negli ultimi anni con l’iniziativa di #ioleggoperchè ho visto tante classi di giovani lettori crescere dal punto di vista letterario, frequentare librerie di cui non conoscevano nemmeno l’esistenza, consigliare a loro volta libri a loro cari. Quindi direi che l’educazione alla lettura è assolutamente possibile, serve solo pazienza.
Perché, a tuo avviso, nel mondo della cultura in generale e dell’editoria in particolare, le donne sono sempre in minoranza e spesso confinate a ruoli marginali? Cosa vuol dire, per te, essere femministi? Quali battaglie, a livello culturale, è necessario portare avanti in questo senso?
Forse il fatto che la donna sia arrivata a ricoprire ruoli di rilievo in ritardo rispetto a quello che erroneamente viene definito il sesso forte l’ha penalizzata in partenza. La donna doveva stare a casa e badare ai bambini, svolgere le faccende domestiche. Quando ha deciso di emanciparsi è andata ad indebolire l’intero sistema. Sulla questione femminismo ti rispondo con una frase di Chimamanda Ngozi Adichie, tratta dal suo “Dovremmo essere tutti femministi”: «Io vorrei che tutti cominciassimo a sognare e progettare un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini e donne più felici e più fedeli a se stessi. Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegniamo ai nostri figli».

Quali scrittrici del passato hai maggiormente apprezzato nella tua esperienza di lettrice? Su quali delle contemporanee, invece, ti sentiresti di puntare?
Tra le scrittrici del passato che ho amato mi piace citare Virginia Woolf, Murasaki Shikibu per la mia passione per il Giappone, Natalia Ginzburg. Delle contemporanee amo Romana Petri, Natsuo Kirino, Elizabeth Strout, Sally Rooney, Audur Ava Olafsdottir, Margaret Atwood.
Consigliaci tre libri scritti da donne per le donne che ti sono cari, come lettrice e come libraia.
“Ovunque io sia” di Romana Petri, “Rosa Candida” di Olafsdottir, “Persone Normali” di Sally Rooney e “Le quattro casalinghe di Tokyo”di Kirino.

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Le donne che ci piacciono. Vanessa Roggeri: “Con le eroine dei miei romanzi voglio dire alle donne: pensate sempre con la vostra testa”

Scrittrice cagliaritana di successo ed editorialista per La Nuova Sardegna, Vanessa Roggeri ha al suo attivo tre romanzi, pubblicati da Garzanti e Rizzoli. L'ultimo, “La cercatrice di corallo”, ha vinto il Premio nazionale di letteratura e giornalismo Alghero Donna. Oggi parliamo con lei di scrittura, di femminismo, di matriarcato, di donne sarde e Sardegna.
Scrittrice di successo ed editorialista per La Nuova Sardegna, Vanessa Roggeri è nata e cresciuta a Cagliari, dove si è laureata in Relazioni Internazionali. Volitiva, appassionata e determinata, nel 2013 ha visto decollare la sua carriera di autrice con la pubblicazione del suo primo romanzo “Il cuore selvatico del ginepro”, edito da Garzanti, seguito nel 2015 dalla pubblicazione del secondo “Fiore di fulmine”, sempre per Garzanti.
Nel 2018 ha dato alle stampe il terzo romanzo, stavolta edito da Rizzoli, “La cercatrice di corallo”. Il libro ha vinto nel 2019 il Premio nazionale di letteratura e giornalismo Alghero Donna.
Oggi parliamo con lei di scrittura, di femminismo, di matriarcato, di donne sarde e Sardegna.
Hai iniziato ad amare le narrazioni molto presto, anche grazie – come spesso ricordi – ai racconti di tua nonna. Ricordi il momento in cui hai sentito la necessità di passare dal ruolo di ascoltatrice a quello di creatrice di storie?
Penso di essere sempre stata una creatrice di storie, anche quando ancora dovevo imparare a metterle su carta. Andando a ritroso con la memoria, mi rendo conto che narrare storie è sempre stata un’esigenza insopprimibile per me, costruire sotto varie forme un percorso che includesse un viaggio fisico e ideale dei miei personaggi, un viaggio che fosse acerba espressione di evoluzione. Già da bambina, con i giochi inventati con mia sorella, avevo la tendenza a intessere trame dotate di un inizio, uno sviluppo e un finale, animate da personaggi principali, comprimari e battute fatte con vocine differenti per ognuno di loro. Se non è la base della narrazione questa non so cos’altro possa esserlo.
Si può narrare in tanti modi, per molti anni è stato importante per me sfogare la creatività con il disegno, finché i libri durante l’adolescenza hanno preso definitivamente il sopravvento. In questo processo è stato fondamentale il racconto orale tipico della nostra tradizione sarda, ma anche gli audiolibri, perché l’ascolto è un’azione puramente passiva che lascia la fantasia libera di mettere in scena suggestioni molto coinvolgenti.
Inizialmente il desiderio di “vivere” le mie storie (non solo quelle scritte da altri), il piacere inesauribile della scrittura, essere demiurgo di un piccolo mondo che esiste ex novo grazie alla mia immaginazione, avevano la forma della passione totalizzante, ma ben presto scrivere libri è diventato il mio progetto di vita.
Nel tempo, sei stata sostenuta nel tuo percorso di scrittrice? Da chi?
Da mia madre, fin dal principio, sempre e comunque. Lo ha fatto quando stroncava (giustamente) i miei primi lavori, e continua a farlo oggi quando mi accompagna ovunque nelle mie peregrinazioni (fisiche e mentali) di scrittrice. Mi sostiene, è la prima che legge i miei libri, mi incoraggia nei momenti di sconforto, mi dà consigli e mi aiuta a superare i dubbi. È la mia prima fan, entusiasta sì ma sempre con misura: da lei non arriveranno mai elogi sperticati del tipo “sei la migliore!”, giusto per esaltare il mio ego di figlia. Concretezza e senso della realtà prima di tutto.
I personaggi femminili che fai vivere tra le pagine dei tuoi romanzi – seppur con le loro diversità – sono tutti molto volitivi. Tu in quale delle donne che hai descritto ti rispecchi maggiormente? Quali sono i messaggi rivolti alle donne che più di tutti desideri veicolare con la scrittura?
Forse mi sento più vicina a Nora (protagonista del mio secondo romanzo “Fiore di fulmine”), alla sua schiettezza, ai suoi principi morali, al suo perenne cercare tra le ombre una verità più alta e segreta. Mi piace la sua originalità, la femminilità non scontata e la riservatezza rispetto al resto del mondo. Nora non si arrende mai, anche quando tutto sembra perduto. Attraverso il suo esempio letterario, e quello delle altre mie eroine, vorrei veicolare un messaggio molto semplice: pensate sempre con la vostra testa. Non è possibile emanciparsi, raggiungere l’autonomia (intellettiva, emotiva, economica) e portare avanti le proprie idee se non si sviluppa un pensiero critico personale.
Ambienti le tue storie in Sardegna, un’isola piena di bellezza, di tradizioni, di fierezza. Ti ho sentita una volta definirti “una nuragica”. Anche la natura e la magia svolgono ruoli importanti nei tuoi libri, che hanno dei tratti dal sapore spesso ancestrale. In che misura, la tua terra è collegata ai personaggi e ne trasmette la forza? Perché la donna che descrivi è spesso legata alle caratteristiche associate alla coga? Siamo tutte un pochino streghe noi sarde?
Il collegamento è inscindibile: i miei protagonisti rappresentano sempre la personificazione dei luoghi in cui abitano, con le loro sfaccettature caratteriali esaltano la forza specifica assorbita attraverso le proprie radici. È in realtà un circolo virtuoso, un gioco di specchi voluto. Ogni elemento descritto deve avere un senso, i personaggi coronano di significato i luoghi con la propria presenza. Faccio un piccolo esempio: ne “La cercatrice di corallo”, la protagonista Regina è vera incarnazione del mare della Riviera del Corallo, la luminosità e il senso di apertura ma anche la mutevolezza degli umori e la profondità dei sentimenti paragonabile agli abissi marini; Dolores invece, sua antitesi, incarna la forza oscura della terra e dei territori del Meilogu ricchi di calcare e di grotte, la pesantezza materica della pietra che si fa carattere volitivo inscalfibile.
Noi sarde siamo tutte un po’ streghe? Una domanda apparentemente innocua che apre un capitolo a sé. Lo siamo perché ancora legate alla nostra istintività, a un sesto senso che attinge a saggezza innata, a un mondo atavico insito nel nostro DNA. Basta poco per risvegliare ciò che già fa parte di noi. Siamo un po’ streghe perché figlie della demonizzazione del principio femminile, così com’è avvenuto per la coga: in origine la sua essenza era tutt’altro che nera, è diventata figura negativa con l’avvento del cristianesimo sull’isola, tramutandosi col tempo in pretesto superstizioso posto a spiegazione delle morti bianche.
Quello del ruolo nella società della donna sarda è stato – ed è – un argomento molto discusso tra gli studiosi. Si parla spesso di matriarcato (a volte nella declinazione di matriarcato occulto) ma la reale posizione sociale di cui ha goduto nel passato la donna non è ancora perfettamente chiara. So che su questo argomento hai condotto delle tue personali ricerche. Ci aiuteresti a tratteggiare una panoramica della condizione della donna sarda dall’800 ad oggi?
Ho compreso che il matriarcato in Sardegna non è affatto una favola femminista per bambine moderne in cerca di riscatto ideologico. La donna sarda, o meglio “la padrona di casa”, ha sempre avuto un ruolo di regista occulta, di guida all’interno delle famiglie e delle piccole comunità. Lei era fulcro che accentrava gli umori e le azioni di chi le gravitava intorno, l’autorevolezza fatta carne, fonte di saggezza riconosciuta ai cui tutti tendevano. In casa era solita tenere i cordoni della borsa, anche perché nella struttura sociale sarda l’uomo, il lavoratore impegnato con il bestiame, colui che si esponeva pubblicamente, era spesso via per lunghi periodi; sulle spalle della matriarca ricadevano l’amministrazione della casa, dei denari, e la cura dei figli.
Durante una presentazione, trattando proprio questo argomento, una lettrice altoatesina presente nel pubblico mi testimoniò che dalle loro parti la struttura sociale è rovesciata: è il nonno a guidare la famiglia, lui è il “capo” che comanda su tutto, persino sui posti a tavola che i famigliari andranno a ricoprire. In ogni caso, matriarcato non significa avere libertà, né di azione né di espressione. Il rischio di condanna pubblica è sempre stato forte, se non si osservavano le regole imposte. La società sarda era rigida, le donne non potevano “ascendere”, né potevano prendere decisioni che compromettessero l’onorabilità propria e della famiglia. Una donna non si esponeva, né poteva avere un destino differente dall’essere moglie e madre. Purtroppo in quanto a questo tutto il mondo è paese.
Sei una delle autrici sarde più apprezzate e conosciute, anche a livello nazionale. Potremmo dire che tu sia un baluardo di sardità. Senti il peso di questa responsabilità? La Sardegna ti ha sostenuta in questo percorso?
La Sardegna mi ha dato tutto quello che poteva darmi, in termini di affetto e riconoscimenti. Quando ho iniziato a scrivere storie ambientate nell’Isola non avevo come obiettivo diventare un “baluardo di sardità”, non era nei miei pensieri, e mi accorgo solo ora che questo ruolo non puoi pretendertelo: deve esserti offerto spontaneamente, come naturale conseguenza di un consenso collettivo. Sentire la responsabilità non significa sbandierare campanilismo sfegatato, bensì avere obiettività nel trattare una materia complessa e profonda come l’essere sardo.
Le discriminazioni, molto spesso, passano per l’ambiente lavorativo. Nel tuo campo ti sei mai sentita messa da parte o presa meno sul serio in quanto donna? Che reazioni hanno avuto donne e uomini ai tuoi romanzi?
Non ci sono stati episodi eclatanti, più che altro ho avuto la percezione sgradevole che il mio essere donna, oltretutto giovane, screditasse la mia credibilità di autrice. Il pregiudizio nasce spontaneo – non c’è nulla da fare – in tutti gli ambienti non soltanto in quello editoriale. La morale è sempre la stessa, ovvero che devi lavorare il doppio per dimostrare quanto vali. I lettori poi reagiscono da lettori: generalizzando, le donne sono più loquaci e desiderose di esprimere (e condividere) le emozioni provate durante la lettura, mentre gli uomini sono più pudichi, parlano più in termini intellettuali e meno dell’aspetto emotivo, anche se devo dire che non pochi mi hanno confessato di aver pianto per Ianetta.
Cosa significa essere femministi, secondo te? Quali sono le battaglie, oggi, da portare più che mai avanti? Quale stereotipo di genere proprio non riesci a tollerare?
Voglio citare una straordinaria Rebecca West, scrittrice inglese del secolo scorso considerata femminista: “Non ho mai capito cosa si intendesse esattamente per femminista. So solo che ho incontrato persone che mi hanno chiamata femminista ogni volta che esprimevo opinioni che mi distinguevano da uno zerbino”. Non è cambiato nulla, distinguersi da uno zerbino battendosi per le proprie idee – e perché quelle idee godano della medesima considerazione dedicata alle idee degli uomini – è sufficiente per essere considerata femminista.
Si battaglia su tante questioni che riportano sempre alla medesima pretesa di parità di genere, ma penso che il conflitto che contrappone il corpo femminile a talento e capacità sia dirimente, tasto dolente alla base di ogni pregiudizio che coinvolge le donne. Corpo mercificato, anche dalle stesse donne e non soltanto dalla società maschilista, corpo esposto e oggettificato in quanto arma sessuale necessaria per fare carriera: mi rifiuto di accettarlo. Il rifiuto non corrisponde alla negazione della femminilità, anzi, significa voler trovare altre vie d’espressione della suddetta femminilità, che coinvolgano la mente e lo spirito. Prima di essere marchiata da un’etichetta voglio essere considerata una persona, a prescindere dall’appartenenza di genere. Mi sale il sangue alla testa quando salta fuori il cliché “dell’angelo del focolare”, sottintendendo che le donne per natura debbano occuparsi solo di fornelli e pappe per bambini. Il pregiudizio persiste in molte menti nostalgiche.
Molti scrittori non amano le presentazioni pubbliche dei loro libri. In più di un’occasione, dal vivo, ho potuto constatare che per te decisamente non è così. Ho avuto l’impressione che ti alimentassi dell’energia che scaturisce da certi incontri. Che relazione hai con i tuoi lettori? Come possono mettersi in contatto con te? C’è qualche aneddoto curioso che vuoi raccontarci avvenuto durante uno di questi incontri letterari?
Ciò che io dono con le mie storie mi viene restituito centuplicato quando incontro i lettori alle presentazioni o comunico con loro attraverso i social. È uno scambio di energia potente che mi ispira e mi spinge a fare sempre meglio. Per me rappresentano un motore motivazionale straordinario. Capita a volte che qualche lettore finisca nei miei libri, ad esempio Miracolina, sorella minore di Achille, è una lettrice conosciuta a Nuoro. Capita anche che la realtà superi la fantasia, come quella volta in cui mi scrisse una certa Ianetta.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Continuerai a scrivere di donne, ci sono altri romanzi nel cassetto? Ci sono progetti di traduzioni per l’estero?
In attesa della pubblicazione del mio quarto romanzo, sto lavorando a un nuovo progetto. Il mio sogno rimane sempre lo stesso: scrivere.

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