“Il caso di positività per coronavirus verificatosi a Bari Sardo era un dato atteso” ha scritto ieri il medico seuese, conosciuto per S’Atobiada, Pier Paolo Deidda.

Per quanto l’isolamento della nostra zona abbia sfavorito il diffondere dell’infezione, da solo non è sufficiente a garantirci la piena immunità; le nostre scelte e i nostri comportamenti sono altrettanto importanti. Se fosse necessario, l’episodio ci indica con chiarezza che la battaglia non è finita, anche se all’orizzonte si fanno sempre più evidenti elementi che fanno ben sperare. In particolare, gli studi in corso danno buone prospettive per alcune terapie. Al momento però dobbiamo ancora attenerci alle regole preventive, senza cedere troppo terreno alle pur giuste rivendicazioni economiche e sociali. Se non preserviamo la salute collettiva, viene meno tanto la capacità di produrre ricchezza quanto la possibilità di poterne godere.

Lunedì ripartiremo, condivido con voi questo piacere, ma evitiamo di farlo con eccessi di leggerezza, rispettiamo le restrizioni e i tempi necessari, la partita è troppo importante, non possiamo sbagliare. Spero vogliate unirvi a me nell’augurare alla persona interessata una rapida e piena guarigione; non la conosco, ma mi fa piacere pensare che tutto vada nel migliore dei modi.”

Erano le 18.30 del 4 maggio 1871. Una trentina di donne, come ogni giorno, concludeva le proprie sedici ore di lavoro nel cantiere Azuni, uno dei tanti della miniera di Montevecchio, e raggiungeva il dormitorio per il meritato riposo. Stava sul tetto dell’edificio un’enorme vasca piena d’acqua – usata per il lavaggio dei minerali – che quella sera si ruppe, provocandone il crollo e la morte di undici operaie.

Antioca Armas 32 anni, Elena Aru, 10 anni, Anna Atzeni 12 anni, Rosa Gentila, 15 anni Anna Melis 11 anni, Luigia Murtas 27 anni, Anna Peddis 14 anni, Anna Pusceddu 14 anni, Caterina Pusceddu 10 anni, Luigia Vacca 15 anni e Rosa Vacca 50 anni.