Una Pasqua diversa da tutte quelle che probabilmente abbiamo sempre trascorso, lontani da amici e famiglia a causa dell’emergenza sanitaria che il nostro Paese sta affrontando ormai da diverso tempo.
Riportiamo integralmente gli auguri del sindaco di Jerzu Carlo Lai ai suoi concittadini. Parole di speranza, affetto e fermezza.
«Carissime concittadine, carissimi concittadini,
Vi scrivo queste poche righe per auguravi, tanto più in un momento così complicato, una Pasqua per quanto possibile serena.
In questo momento sento il peso della sofferenza, dello smarrimento, dell’incertezza del futuro, dell’insicurezza e delle paure di ognuno di voi. Non vi sembri vuota retorica, è una cosa normale. Un sindaco si immedesima con la propria comunità in maniera viscerale, tanto più nel disagio, nella difficoltà, nel bisogno.
Voglio tuttavia ribadire che se tutti rispettiamo il contratto sociale e la sua legge contingente che recita “non si esce di casa” non precipiteremo nell’incubo dell’emergenza del dramma sanitario che per ora abbiamo visto solamente per immagini e racconti.
Stando a casa non salviamo soltanto noi stessi, ma impediamo che il contagio raggiunga altre persone, magari indifese. Ascoltiamo le indicazioni e le prescrizioni delle autorità, dei medici, degli esperti. Dobbiamo avere fiducia nel sistema sanitario che, nonostante limiti strutturali, è l’unica diga all’ondata di piena che è arrivata in tante province italiane e che tante vite si è portata via.
Noi tutti siamo individui, con le nostre prerogative, le nostre libertà personali, i nostri diritti costituzionali, ma siamo anche una parte di un tutto organico, un corpo sociale. Se si ammala qualcuno di noi, e non collaboriamo tra di noi, ci ammaleremo in tanti.
Dobbiamo fidarci delle autorità sanitarie, dobbiamo fidarci dello Stato. Ricordiamoci sempre, che aldilà delle nostre appartenenze ideali e politiche, lo Stato è l’unica garanzia di sicurezza per gli individui. Certamente, poi, non è secondaria l’emergenza economica e sociale che il dramma sanitario sta generando.
Anche Jerzu, come qualsiasi altra città è ovviamente vuota e ferita. Vederla così fa male. Jerzu è un centro anomalo, ha 3200 residenti, ma, lo sappiamo tutti, offre ed ospita servizi che sono normalmente offerti da centri molto più grandi. Le scuole, gli istituti scolastici superiori, i servizi del Poliambulatorio, la Compagnia dell’Arma dei Carabinieri, la Clinica Tommasini, la Cantina Antichi Poderi.
Abbiamo idea di quante persone arrivino a Jerzu ogni giorno? Ci pensiamo a quanto si animi Jerzu al mattino?
Cosa sarebbe Jerzu, oltre a tutto il resto, senza i suoi studenti, gli insegnanti, il personale scolastico, senza l’utenza e il personale della Clinica e del poliambulatorio, o i clienti e i fornitori della cantina? L’abbiamo scoperto negli ultimi trenta giorni. Tutto un indotto economico vitale che annaspa.
Gli jerzesi sono viticoltori e agricoltori ma nella stragrande maggioranza sono ANCHE agricoltori e viticoltori, lo abbiamo orgogliosamente nel DNA e ce ne fregiamo. Ma gli jerzesi sono anche ovviamente, e il mio pensiero va a tutti loro e alle loro famiglie, artigiani, commercianti, titolari di tantissime attività costrette star ferme.
Credetemi, il vostro peso, il vostro turbamento, la vostra angoscia sono il mio peso, il mio turbamento, la mia angoscia.
Così come lo è quello delle persone sole e ammalate, delle persone che a prescindere da questa fase emergenziale, vivevano situazioni di difficoltà e che ora ovviamente sono ancora più fragili.
Il mio pensiero va anche ai bambini costretti a stare a casa, e va ai genitori con il difficile compito di farli star sereni e mostrarsi sereni. Perché non c’è nulla di più importante che crescere dei bimbi sereni che saranno dei cittadini migliori che costruiranno una società migliore. Il mio pensiero e il mio grazie vanno a chi continua il proprio lavoro, a chi garantisce i servizi essenziali, dal commercio alla sanità, dall’assistenza agli anziani a quella agli ammalati.
Va al nostro parroco Don Michele che anche ieri pomeriggio percorrendo per la via crucis in solitudine le vie del paese ha dato l’ennesima dimostrazione di attaccamento commovente alla comunità jerzese. Va alle associazioni di volontariato jerzese.
Siamo tutti sotto un diluvio, ma tanti in questo momento si bagnano fradici ancor di più.
Ecco, a loro, a coloro che si stanno bagnando di più, vorrei dire, e mentre lo penso non trattengo le lacrime, chiunque voi siate, qualsiasi cosa pensiate del mio operato da amministratore, ricordatevi che io sono a vostra disposizione. Per un consiglio, una parola di conforto, una soluzione. E mi trovate in quella che è la casa di ogni jerzese: il Comune.
Jerzu ripartirà.
Così come ripartì ai primissimi anni del novecento quando la fillossera distrusse i vigneti. Fu uno stravolgimento sociale che non ebbe precedenti né repliche paragonabili. Circa mille jerzesi emigrarono sino agli angoli più remoti del pianeta.
Fu un decennio tragico, di miseria e povertà vere. Ma mai di miseria morale e spirituale. Ciò permise che iniziassero gli anni della ricostruzione pur in presenza del primo conflitto mondiale. Non siamo ai primi del novecento, abbiamo strumenti e possibilità (la scienza e lo Stato) mille volte superiori. Accertiamoci solo di avere lo spirito degli jerzesi dei primi del 1900.
Io, e con me tutti gli amministratori, siamo pieni di idee da portare avanti, pianifichiamo il futuro per ciò che ci compete e continueremo a farlo con entusiasmo e dedizione. Quando, molto presto, torneremo alla vita normale ci faremo trovare pronti.
Continuiamo a rispettare le indicazioni e le prescrizioni. Questo incubo finirà presto. Vi abbraccio tutti».
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