50 anni fa lo scudetto del Cagliari, Riva: «Fu una favola diventata realtà»
Lo scudetto vinto dai rossoblù è stato la rivincita di un’Isola intera, all’epoca definita terra esotica per la distanza dal Continente, per i paesaggi selvaggi, per il mare cristallino. «Noi avevamo realizzato il loro sogno, un sogno proibito che è diventato realtà», racconta Beppe Tomasini.
«È la favola che diventa realtà», così il Mito, Gigi Riva, ha definito quell’impresa che 50 anni fa portò il Cagliari a vincere il suo primo e unico scudetto, entrando per sempre nella storia del calcio italiano.
Era il 12 aprile del 1970, allo stadio Amsicora, il Cagliari sconfisse il Bari per 2-0 grazie alle reti di Riva e Gori. La Cenerentola del sud, con due giornate d’anticipo diventa la regina del campionato di Serie A, assurgendo, nell’immaginario collettivo del popolo sardo, alla squadra più forte di tutti i tempi: irripetibile, incredibile, irraggiungibile.
«È stata la più grande impresa calcistica di tutti i tempi. – ricorda Rombo di Tuono – Era il Cagliari, una squadra di provincia sulla quale nessuno avrebbe scommesso, era la prima squadra del sud a vincere il titolo di campione d’Italia. Negli anni ’70 Cagliari era una città sconosciuta così come lo era la Sardegna».
Lo scudetto vinto dai rossoblù, infatti, è stato la rivincita di un’Isola intera, all’epoca definita terra esotica per la distanza dal Continente, per i paesaggi selvaggi, per il mare cristallino. Un’isola che si affacciava lentamente verso il resto del mondo, nella quale i grandi imprenditori iniziavano ad investire, ma che ancora faceva paura per il suo entroterra abitato da pastori e banditi e perché meta di punizioni lavorative che arrivavano dalla penisola.
Restio a trasferirsi in Sardegna nel 1963, Gigi Riva, grazie ai suoi gol porterà i rossoblù per la prima volta in serie A l’anno successivo. Da lì, inizia la scalata verso lo scudetto, togliendo con eleganza e grazia il primato alle squadre del nord. Mai, fino al quel momento, lo scudetto aveva bussato alle porte a sud della città eterna.
«La gioia di noi giocatori per aver vinto lo scudetto, in quel momento non ha reso come poi lo ha fatto negli anni successivi – sottolinea ancora Gigi Riva -. Al momento pensi a festeggiare uno scudetto vinto, ma non avevamo ben chiaro cosa avessimo fatto per un popolo intero, per una terra come la Sardegna e per i suoi emigrati. Con gli anni abbiamo preso consapevolezza dell’opera fatta e di quanto questa sia diventata leggendaria».
«Ho tanti ricordi di quella giornata. Ma quello che più mi è rimasto impresso nel cuore e la gioia e la festa dei tifosi, che la notte andarono in giro per tutta la città a cantare e urlare, festeggiare. Noi avevamo realizzato il loro sogno, un sogno proibito che è diventato realtà», racconta Beppe Tomasini.
Il 12 aprile 1970, l’Amsicora era sold out, arrivarono da tutta la Sardegna per incitare i propri beniamini, perché quella favola, che tutti avevano sognato, stava giorno dopo giorno diventando realtà. I ragazzi marinarono la scuola, i lavoratori chiesero addirittura i permessi al lavoro: a Cagliari si iniziava a respirare un’aria di festa, di magia, di irripetibile.
«Noi c’eravamo 50 anni fa a gioire per lo scudetto, a bigiare la scuola per sfilare lungo le strade di Cagliari, colorata di rosso e di blu. A nominare Gigi Riva re di Sardegna per sempre. In via Roma al porto per ammirare i fuochi d’artificio nella festa finale. – raccontano Iliana e Maria Paola, due tifose accanite rossoblù, che in quegli anni studiavano nelle scuole superiori in città -. Noi c’eravamo a gioire con i nostri vecchi, orgogliosi di una squadra di calcio che aveva illuminato un piccolo mondo antico, sconosciuto, ma pieno di speranze. Un cuore rossoblù dalle montagne al mare, dal cuore di Barbagia sino al giallo Campidano. Tutti insieme a ridere e cantare: Gigi Riva il cannoniere quando spara il rigore fa tremare il portiere».
Quel bigiare la scuola portò delle conseguenze alle giovani tifose: il loro insegnante, Francesco Masala, intellettuale d’altri tempi, per un mese intero tenne loro il muso, ma gioia per quella vittoria, le emozioni vissute si fecero più forti della paura.
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