Dipendenza da smartphone: la storia (a lieto fine) di Valeria e il parere dell’esperto

Quella di Valeria è la storia di una ragazza caduta nella dipendenza eccessiva da cellulare. Sebbene il suo sia un caso limite, ormai per tantissimi il cellulare è diventata quasi una "droga" della quale non si riesce a fare a meno. Un esperto in neuro psicofarmacologia spiega i rischi dell'uso eccessivo del cellulare. Reportage.
Articolo di Stefania Lapenna
«Com’è il mondo là fuori?». Un giorno Valeria si è fatta questa domanda e per avere la risposta, ha lasciato il cellulare a casa, ha aperto la porta ed è andata a farsi una passeggiata per i negozi, ha visto quant’è bello godersi una serata all’aperto lontano dallo smartphone.
Lo diamo tutti per scontato, ma per lei non lo è stato fino all’anno scorso. Ventinove anni, selargina, quel cellulare per lei era come una droga, di cui abusava quotidianamente. «Lo usavo otto ore al giorno, tra Facebook, Instagram e WhatsApp. Rimanevo connessa per mezz’ora ogni cinque minuti circa. Così facendo ho trascurato le cose quotidiane, non solo uscire di casa (declinavo inviti da parte di amiche e amici inventando scuse, tanto sapevo che anche se avessi accettato, sarei stata attaccata al cellulare per la maggior parte del tempo. Era già successo, dunque non volevo che si stranissero».
Gli effetti dell’abuso dello smartphone non si ripercuotevano solamente sulla vita sociale di Valeria, sulle sue amicizie, ma anche a livello psico-fisico: «Ho avuto un calo della vista, ogni volta che mi alzavo dopo averlo usato per un po’ di tempo, mi girava la testa e sono diventata anche un po’ aggressiva e molto ansiosa quando capitava di non poterlo avere vicino anche solo per venti minuti di fila». Ora ne è uscita, ha chiesto aiuto a un centro di ascolto: «Non volevo ammettere di avere un problema, ma mia madre mi ha convinto e anch’io mi sono resa conto che dovevo cambiare. Per non cadere in tentazione, mi sono fatta ridurre i giga nel telefono e lo uso solo quando mi mandano messaggi. Mi sono cancellata dai social. Ho ripreso in mano la mia vita, che è cambiata radicalmente in meglio».
Quella di Valeria è sicuramente una storia di dipendenza grave, tuttavia, chi più, chi meno, siamo tutti un po’ dipendenti dal cellulare, come conferma professor Giovanni Biggio, professore ordinario di Neuro psicofarmacologia all’Università di Cagliari: «Nasciamo tutti predisposti a questa dipendenza, c’è chi la sviluppa e chi no. Conta molto l’ambiente che ci circonda. E l’ambiente che ci circonda è pieno di persone che usano molto lo smartphone, di conseguenza è difficile che non capiti anche a noi. Molti però lo usano anche di notte, sopratutto i giovani e i giovanissimi. Le conseguenze sono aggressività (che può sfociare anche nel cyberbullismo), ansia, crisi di panico, cali di prestazione e di concentrazione in tutti gli ambiti della vita. Tanti incidenti stradali sono una conseguenza di questi sintomi».
Ci sono studi che mettono in relazione l’uso eccessivo del cellulare con il sovrappeso. «La sedentarietà, lo stare seduti a guardare sempre lo schermo, ma anche dormire poco perché si usa lo smartphone, porta a ingrassare», sottolinea Biggio, che aggiunge che tra il 2010 e il 2012 c’è stato un aumento della dipendenza da cellulare. Convincere qualcuno che è dipendente, a smettere «non è possibile dall’oggi al domani. Ci sono i centri disintossicazione, i quali non prevedono cure farmacologiche ma terapie di gruppo. I genitori possono fare tanto per prevenire questi problemi, educando i propri figli a usare bene il telefonino, controllando cosa guardano e imponendo limiti di tempo. E sopratutto, ricordare loro che non si usa a tavola mentre si cena. Tanti fanno l’errore di pensare che usare il tablet o cellulare insieme ai propri bambini, fa sì che questi ultimi non lo usino male o non ne abusino. Questo tipo di “prevenzione” non funziona».
Anche i videogiochi creano dipendenza. «Tanti ragazzini ci stanno attaccati tre ore al giorno. Questo, a livello scientifico, modifica la struttura cerebrale, atrofizzando i neuroni». Qualcuno leggendo questo articolo potrebbe pensare che si criminalizzi l’uso delle nuove tecnologie, ma non è così: «Il problema è la dipendenza eccessiva, l’esagerazione – precisa – Bisogna usare bene il progresso e non ci saranno problemi».

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Lo sapevate? Il Carato, usato per la misurare l’oro, è un seme di carrubo

Alcune informazioni tratte dal sito dell’Agenzia.
“IL CARRUBO, UN ALBERO DAI TANTI PREGI (SPESSO DIMENTICATI)” si legge scritto sulla pagina social dell’Agenzia Forestas. “Sapevate che il Carato, usato per la misura dell’oro, non è altro che un seme di carrubo? Un nome dalle origini greche o arabe, per una pianta maestosa e forte, originaria del bacino Mediterraneo e del Medio Oriente. Protagonista delle abitudini alimentari antiche, che davano grande valore ai frutti di questa pianta, cibo di basso costo e di alto valore nutrizionale, e molto utilizzati per la preparazione di pietanze e bevande”.
Alcune informazioni tratte dal sito dell’Agenzia:
“Il carrubo è un albero longevo, dalla crescita lenta, conosciuto sin dall’antichità.
Difficilmente supera l’altezza di 10 metri. Si tratta di un albero dal portamento anche maestoso, sempreverde con chioma espansa, fitta e tondeggiante. Tronco massiccio con ramificazioni che si originano vicino alla base. La corteccia è liscia, grigiastra, marrone scuro.
Le foglie sono coriacee, alterne, composte da un numero pari di foglioline (paripennate) raggruppate in 3-6 paia, a lamina ellittica e margine intero, lunghe 3-6 cm e larghe 2-4 cm con un breve picciolo; lunghe verde-scuro e lucide nella pagina superiore, verde-azzurro in quella inferiore. Il margine fogliare è intero con nervature penninervie.
Il carrubo è una pianta poligamo-dioica e i fiori, in prevalenza unisessuali, possono trovarsi sulla stessa pianta o su piante diverse, oppure possono esservi fiori bisessuali e maschili sulla stessa pianta. I fiori sono molto piccoli e di colore prima rossastri poi giallo-verdastri (privi di corolla, calice peloso caduco), sono riuniti in grappoli cilindrici eretti all’ascella delle foglie, nascenti sui rami degli anni precedenti; quelli maschili con 5 stami, quelli femminili con uno stimma sessile.
Il frutto è costituito da un legume tormentoso, schiacciato e leggermente incurvato, pendulo, di 10-20 × 2-3 cm., coriaceo, di colore bruno, solitario o in gruppi numerosi”.
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