“Nassara e la guerra dei poveri”. Deligia, l’ex funzionario dell’ONU innamorato dell’Ogliastra racconta gli anni in Ciad

In "Nassara e la guerra dei poveri" (Edizioni Condaghes, e-book Amazon) Deligia racconta i nove anni trascorsi in Ciad, dal 1975 al 1983. Spinto dalla curiosità verso terre e culture lontane, giunge in Ciad a 25 anni e viene subito travolto dagli eventi.
Nell’Ottocento, gli europei si spartirono l’Africa attorno a un tavolo a Berlino, armati di matita e righello, senza immaginare le conseguenze di questo atto violento e arrogante. Nel 1975 il Ciad era indipendente da appena 15 anni, ma solo sulla carta. Le popolazioni di questa terra erano povere e analfabete, e la loro politica era guidata dai francesi. Questi ultimi, lasciando il paese, avevano trasmesso il potere alle genti del Sud, popolazioni animiste convertite al cristianesimo e impiegate nella lavorazione del cotone. Le genti del nord est, allevatori nomadi musulmani la cui cultura è stata forgiata dalla dura vita del deserto, furono escluse. La fame e la siccità inaspriranno il conflitto – che era sempre esistito – dando inizio a una serie di sommosse che sfoceranno in un colpo di stato e in una guerra civile.
E’ in questo contesto che si dipana la storia, autobiografica, racconta per le edizioni Condaghes da Gianni Andrea Deligia. Nato a Meana Sardo nel 1949, Deligia si laurea in scienze politiche a Cagliari e frequenta un corso post laurea a Beirut. Nel 1975 svolge il servizio civile in Ciad. Da qui ha inizio la sua carriera internazionale con l’ONU. Dal 1977 al 2011 si occuperà di sviluppo, rifugiati, emergenze umanitarie, governance degli stati e mantenimento della pace, lavorando in Africa, Medio Oriente, Asia centrale ed Estremo Oriente.
In “Nassara e la guerra dei poveri” (Edizioni Condaghes, e-book Amazon) Deligia racconta i nove anni trascorsi in Ciad, dal 1975 al 1983. Spinto dalla curiosità verso terre e culture lontane, giunge in Ciad a 25 anni e viene subito travolto dagli eventi. Diventa capo redattore di Tchad et Culture, l’unica rivista del Paese, scritta in francese. A quei tempi la maggioranza dei ciadiani era analfabeta e conoscere quello che succedeva nelle diverse regioni del paese non era facile. Il calcio era uno dei pochi elementi capaci di unire le diverse popolazioni, dal deserto del nord est alla relativamente fertile savana del Sud. Unico giocatore bianco del campionato nazionale di calcio, Gianni diventa famoso come Nassara, “L’uomo bianco”.
Si incontra e scontra con una realtà molto diversa dalla sua, che lo affascina stregandolo con le tante contraddizioni. Nel 1977 si trova a lavorare per l’ONU e per il governo del Ciad, per far sì che io ciadini potessero scrivere la propria storia. Nel 79 la guerra civile raggiunge la capitale. Gianni intreccia così la storia della sua giovinezza con quella di questo paese. Qui si innamora, si sposa, mette su famiglia, fa carriera e decide di restare anche durante la guerra, lottando come funzionario dell’ONU accanto alle donne e ai bambini del Ciad.
Deligia, nella sua vita di coraggioso girovago, ha trascorso del tempo anche in Ogliastra. Il padre era ferroviere a Gairo Scalo e responsabile della linea Seui-Lanusei. «A Gairo – racconta l’ex funzionario ONU – ho fatto la quinta elementare. E lì che per la prima volta abbiamo avuto l’acqua in casa e l’elettricità. E’ sempre lì che ho cominciato a giocare a pallone e a scoprire i piaceri della corsa a piedi che fa ancora parte della mia vita. Durante il periodo universitario per mesi ho insegnato alle scuole medie di Ussassai e poi di Bari Sardo. Negli anni successivi sono tornato spesso in Ogliastra, per qualche giro tra Seui, Ussassai, Jerzu e Tortolì. A parte la bellezza della natura, mare incluso, è in Ogliastra che ho sviluppato l’amore per “su casu agedu” e per il prosciutto».

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Letto per voi. “Nessuno è intoccabile” dello scrittore ogliastrino Thomas Melis

Dimenticate le spiagge da sogno, la movida della Costa, i volti rassicuranti dei vacanzieri ritratti abilmente nelle brochure. Quella che si presenta nel nuovo romanzo di Thomas Melis "Nessuno è intoccabile" è un'altra Sardegna.
Dimenticate le spiagge da sogno, la movida della Costa, i volti rassicuranti dei vacanzieri ritratti abilmente nelle brochure. Quella che si presenta nel nuovo romanzo di Thomas Melis “Nessuno è intoccabile” è un’altra Sardegna. Un’Isola che, grazie all’ottima penna dello scrittore ogliastrino, mostra un lato di sé che forse tendiamo per primi ad ignorare, ben lontano dalle immagini patinate che ci danno ( o ci diamo?) da bere. Ma che esiste, vibra e regola – che se ne sia consapevoli o meno – il nostro vivere. Infatti, mentre i vip vengono paparazzati a Porto Cervo, Melis sposta l’occhio di bue su un fazzoletto d’Isola dove sono codici d’onore e ataviche tradizioni a regolamentare il quotidiano. Dove disamistade e balentia, con tutte le loro declinazioni, sono il linguaggio del vivere di intere comunità.
E’ proprio in questo lembo di terra, Iliseri, lontano dalle immagini di un’idilliaca Sardegna, che si svolgono le vicende narrate da Melis, che traggono spunto – con efficacia- dalla cronaca giudiziaria isolana e da un certosino lavoro di ricerca e documentazione. Vicende che vedono protagoniste due famiglie malavitose che da sempre in paese si trovano contrapposte e che tracciano il proprio destino sul battere e levare della vendetta, sul biblico “occhio per occhio, dente per dente”. Intorno alle micro vicende che li vedono scontrarsi, amarsi, odiarsi, avvicinarsi e allontanarsi, si intrecciano quelle di macro dimensioni della massoneria e della politica isolane, sullo sfondo di una gigantesca speculazione edilizia, che impera sul ritmo del pendolo che fa oscillare (in un climax ascendente regolato con perizia dallo scrittore) le vicende dei Degortes e dei Corrasi.
Melis si rivela un ottimo burattinaio, la sua penna traccia un affresco vivido e a tratti malinconico delle gesta di caratteri che subito conquistano. In primis quello del protagonista, Il Castigliano, difficile da dimenticare e nel quale si finisce per ritrovarsi, tra luci e ombre. E il giallo subito si fa sardo, senza forzature. Melis apre un vaso di Pandora del cui contenuto siamo sempre stati inconsapevolmente o meno al corrente. Ben sviluppati, i protagonisti del romanzo, ci prendono per mano e ci obbligano, grazie ad una scrittura potente e incisiva, a guardare in faccia una realtà che è quella dei nostri giorni, che ci abita accanto, che muove le fila di ciò che ci accade ogni giorno. E’ qui che la miseria umana si mescola all’onore, che la giustizia abdica in favore di leggi non scritte ma di una potenza e di una portanza selvagge.
Nei protagonisti del romanzo non facciamo fatica a riconoscere i nostri vicini di casa, i volti noti della politica isolana, in un certo senso anche noi stessi. Interessanti le figure femminili tratteggiate dal romanziere ogliastrino, in primis quelle contrapposte e speculari di Zia Bonaria e della giovane Benedetta. Donne forti, caparbie, totalmente immolate alla causa della disamistade. Donne che come con una intricata matassa, dipanano con fredda maestria gli eventi, in un alternarsi di lutti, vendette, obiettivi, rapporti familiari e solitudini. Sono proprio le donne, infatti, dietro le quinte, a tirare le fila di una vicenda solo apparentemente tutta maschile. La potenza del matriarcato in Sardegna, infatti, si fa sentire, in ogni singola riga di Melis.
Trama avvincente, stile incalzante. Un corsa continua verso la resa dei conti che ci fa trattenere, pagina dopo pagina, il fiato. Il traguardo per entrambe le famiglie? La vittoria, la salvezza, il riscatto sociale. Un obiettivo che però viene da tutti mancato, perchè a Iliseri (così come in ogni parte del mondo?) “nessuno è intoccabile”.
Al libro e ai personaggi che lo abitano con forza, si torna con la mente, in un’analisi del mondo che ci circonda, anche dopo averlo riposto, dopo essere giunti all’ultimo rigo. E non è forse questo che succede quando un racconto possiede potenza e valore?

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