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Ogliastrini nel Mondo. Il dottor Giuseppe Corrias da Arzana alla Francia, un radiologo d’eccellenza | Ogliastra - Vistanet
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Ogliastrini nel Mondo. Il dottor Giuseppe Corrias da Arzana alla Francia, un radiologo d’eccellenza

Ogliastrini nel Mondo. Il dottor Giuseppe Corrias da Arzana alla Francia, un radiologo d’eccellenza

Ogliastrini nel Mondo. Il dottor Giuseppe Corrias da Arzana alla Francia, un radiologo d’eccellenza

Un giovane medico di Arzana a Parigi. Giuseppe Corrias, svolge la sua professione nel prestigioso ospedale Beaujon, centro di riferimento a livello mondiale, delle patologie e dei trapianti addominali.

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14 Marzo 2019 09:48 Roberto Anedda

 

In Francia nell’ospedale parigino Beaujon, centro di riferimento delle patologie e dei trapianti addominali a livello mondiale, svolge da qualche mese un dottorato di ricerca, un giovane medico ogliastrino. Giuseppe Corrias da Arzana, classe ’87, specializzato in radiologia, oggi sta conseguendo una sotto- specializzazione in radiologia addominale. Il dottore arzanese è un’eccellenza nel panorama della medicina: oltre a vantare una brillante carriera, con una notevole esperienza internazionale, ha conseguito prestigiosi premi per le sue ricerche.

Tanto impegno e dedizione al lavoro, la volontà di migliorarsi sempre, caratteristiche apprese dalla sua famiglia, ma anche il dover affrontare un notevole sacrificio nella sua attuale permanenza a Parigi: la distanza da suo figlio Tommaso, rimasto in Sardegna, che riesce a vedere una decina di giorni ogni mese. Conosciamo meglio il dottor Giuseppe Corrias, al quale abbiamo posto alcune domande.

 

Come ha avuto inizio la sua carriera?

Ho conseguito la laurea in medicina nel 2013, in seguito sono entrato nella Scuola di Specializzazione in Radiologia, e dopo i primi tre anni a Cagliari, tra il quarto e il quinto anno, nel 2017, sono partito per un anno a New York, presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center, prestigioso istituto nel quale vengono studiati i tumori. Qui ho fatto prevalentemente Ricerca, con il prof. Mannelli, in particolare applicandomi sulle metodiche dell’imaging nella risonanza, Tac e Pet, concentrandomi in particolare sulle patologie tumorali che colpiscono il fegato e il pancreas. Rientrato in Sardegna, nell’agosto del 2018, ho conseguito la specializzazione in radiologia. 

È stata la tua prima esperienza formativa all’estero?

No, sono stato precedentemente in Polonia per un anno, grazie al programma di mobilità studentesca Erasmus, durante il mio corso di studi nella Facoltà di Medicina e Chirurgia a Cagliari, e ho svolto un tirocinio di quattro mesi a Londra, prima di sostenere l’esame di laurea. Ma posso affermare che l’esperienza newyorkese oltre ad essere determinante a livello professionale, è stata molto importante in quanto mi ha “aperto” la mente. 

Ora Parigi, cosa l’ha portata a intraprendere questa esperienza?

Svolgendo un dottorato di Ricerca, presso l’Università di Cagliari, è obbligatorio un periodo di dodici mesi all’estero. Inoltre nell’ ospedale Beaujon ho la possibilità di specializzarmi ulteriormente nella radiologia addominale. Quindi due esigenze che convergono. Tra l’altro questo è un centro prestigioso a livello mondiale, dove lavorano e hanno lavorato, tra i migliori ricercatori del Mondo, dove posso migliorare ulteriormente alcuni aspetti della Ricerca che sto facendo a Cagliari, e avere una rete di connessioni accademiche internazionali di altissimo livello. Devo aggiungere inoltre che è stato determinante per poter accedere all’ospedale parigino, la mia esperienza maturata a New York. 

Di cosa si occupa all’ospedale Beaujon?

Svolgo la mia professione nel reparto di Radiologia. Mi sto occupando dell’assistenza ai pazienti e della Ricerca, perché qui in Francia le due cose, a differenza dell’Italia, vanno di pari passo.  Per quanto riguarda la Ricerca, sto lavorando sui tumori del fegato, con nuove tecnologie di imaging, quindi tac e risonanza, stiamo studiando se ci sono dei fattori di predizione nella risposta alla terapia negli HCC, che sarebbero i tumori tipici del fegato: carcinomi epatocellulari. Tra l’altro le metodologie che sto apprendendo in Francia, le applico alla Ricerca seguita a Cagliari, con gli stessi mezzi, anche se cambia il soggetto alla base dello studio della ricerca il tumore al colon.  

 

 

Come è stato l’impatto nella realtà francese?

Molto positivo, Parigi è una bella città, molto vivibile. In ospedale sono stato accolto benissimo, nell’ambiente di lavoro, c’è molta collaborazione tra colleghi, e tutti sono pronti a spiegarti qualsiasi cosa. Tra l’altro anche se all’inizio, non sapessi parlare molto bene il francese hanno apprezzato, il fatto che mi impegnassi molto per imparare rapidamente la loro Lingua. Oltre che a livello professionale, questa esperienza mi sta arricchendo anche umanamente. Anche se è molto impegnativa, perché sto lavorando molte ore al giorno al Beaujon per la Ricerca, portata avanti per conto dell’ospedale francese, così come altrettanto impegno richiede la settimana in cui rientro a Cagliari, e devo portare avanti la Ricerca per l’Università. 

Differenze tra la sanità francese e quella italiana?

Se prendiamo come riferimento il livello di preparazione si equivalgono, ho avuto la fortuna di avere “Maestri” a Cagliari, come il prof. Saba, che posso affermare di avermi insegnato tutto quello che dovevo sapere nel campo della Radiologia. Certo, nella sanità italiana mancano i fondi necessari per la Ricerca. Ad esempio le risorse economiche della Regione Sardegna che per metà, vengono utilizzate per la sanità, una parte andrebbero investite in Ricerca. Questa è fondamentale per poter creare una sanità efficiente, posso affermare che nei centri esteri in cui sono stato, porta ottimi risultati dal punto di vista dell’assistenza clinica. Perché? In questi centri, si discutono subito i risultati della Ricerca, e se dimostri che una terapia innovativa, è migliore della precedente, si cambia subito la pratica clinica. Viene attuato subito un cambiamento, che porta dei benefici per i pazienti. Questa si chiama: Medicina Traslazionale, che tra l’altro è il titolo del Dottorato che sto svolgendo. In parole povere, quando si ottengono risultati importanti, in Ricerca, fai una traslazione, cioè li applichi subito sulla pratica clinica.  

 

Un’ultima domanda: un auspicio per il suo futuro?

Un giorno possa raccogliere quanto sto seminando, i sacrifici fatti mi permettano di ritornare in Sardegna, al fianco di mio figlio Tommaso di tre anni e mezzo, al quale possa garantire il futuro più roseo e pieno di fiducia possibile.  Oggi riesco a vederlo una decina di giorni al mese, visto l’impegno lavorativo a Parigi. L’impegno profuso è tanto per migliorarmi il più possibile, anche perché la Medicina è in continuo cambiamento, le metodologie attuali, tra un lustro potrebbero essere obsolete, quindi avere un’ottima rete di connessioni accademiche internazionali, sicuramente mi consentirà di restare al passo coi tempi. Vorrei riuscire a lavorare, facendo Ricerca, nel contesto universitario nazionale. 

 

Giuseppe Corrias, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti in questi anni per le sue ricerche, tra i quali nel 2017 il premio dall’ ISSNAF (Italian Scientists and Scholars in North America Foundation), fondazione scientifica senza scopo di lucro costituita da specialisti italiani negli Stati Uniti, e nel 2018 ha ricevuto il premio ECR, dall’ European Congress of Radiology. Inoltre può vantare ben quindici pubblicazioni scientifiche, sul sito PubMed, punto di riferimento nella letteratura in materia.   

Un ogliastrino, con i suoi studi oncologici di eccellenza, oltre a rendere onore a tutta l’Isola, regala un grande servizio all’umanità. Nella speranza un giorno, di potersi fermare nella sua terra, portando in dono le esperienze, e le conoscenze apprese in giro per il Mondo.

 

 

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Ogliastrini nel mondo. Rebecca Lai, da Tortolì all’America tra pallavolo e università



Rebecca Lai, 20 anni, di Tortolì, vive da quasi due anni a Manchester, una cittadina a 40 minuti da Boston, negli Stati Uniti; frequenta l’università e fa parte della squadra di pallavolo.

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30 Gennaio 2019 10:02 Vanessa Conti

Rebecca Lai, 20 anni, di Tortolì, vive da quasi due anni a Manchester, una cittadina a 40 minuti da Boston, negli Stati Uniti. Frequenta l’università e fa parte della squadra di pallavolo.

«Gli Stati Uniti sono arrivati un po’ per caso: avevo letto un articolo su una ragazza che aveva vinto una borsa di studio per giocare a pallavolo negli USA e, anche se non me ne sono accorta subito, quella è stata la svolta. Ho iniziato cercando qualche informazione nel tempo libero e caricando, senza darci troppo peso, una mia partita di pallavolo su una piattaforma dove gli allenatori americani cercano le atlete. Dopo qualche tempo, ho ricevuto alcuni feedback e, da quel momento, ho cominciato a credere che fosse realmente possibile».

Vincitrice di due borse di studio, una accademica e una sportiva, non ha saputo dire no, quando il suo attuale allenatore, allora un perfetto sconosciuto, le propose di trasferirsi in America per intraprendere un percorso ‘diverso’ da quello intrapreso dalla maggior parte delle sue coetanee dopo il liceo. Infatti, grazie a quest’opportunità dall’altra parte del mondo, Rebecca è riuscita a unire le sue due più grandi passioni: lo studio, in vista di una carriera lavorativa, e la pallavolo.

All’università studia “Marketing e Business” e frequenta un corso di specializzazione che la introdurrà nel mondo dove, da sempre, sogna di lavorare: quello della moda. «E’ accaduto tutto così velocemente, che non ho nemmeno avuto il tempo di realizzarlo. Da un giorno all’altro mi sono ritrovata dall’altra parte del mondo, in un posto del quale ignoravo completamente l’esistenza. Inizialmente non è stato semplice, lo ammetto, ma grazie al supporto delle mie nuove compagne di squadra, è andata sempre meglio. Non ho avuto grandi difficoltà con la lingua, ma riconosco che seguire lezioni universitarie e preparare esami in una lingua diversa, inizialmente, è stato parecchio faticoso».

Adesso Rebecca è felice, ha trovato il proprio equilibrio e si è abituata alla sua nuova vita, nonostante questa abbia un ritmo frenetico. Infatti, alterna gli allenamenti di pallavolo alle lezioni all’università e allo studio a casa, ma nonostante questo, tornando indietro, accetterebbe di nuovo senza pensarci due volte.

«È un’esperienza che ti aiuta a crescere sotto tutti i punti di vista, non solo lo studio, non solo la pallavolo; è una cosa che ti cambia. Mi ha arricchita e continua a farlo, ogni giorno». Il sistema scolastico italiano e quello americano sono, però, molto differenti tra loro. La scuola italiana, come Rebecca stessa racconta, è molto più incentrata sulla parte teorica dell’apprendimento, mentre gli studenti americani vengono subito messi sul campo, per testare con mano tutto ciò che hanno precedentemente studiato.

Un’altra differenza tra l’università italiana e quella frequentata da Rebecca è il numero di studenti per ‘classe’. Una normale ‘classe’ universitaria, in Italia, è composta, quasi sempre, da almeno un centinaio di persone, mentre nell’università di Rebecca si tratta di una classe simile a quella delle scuole superiori, con circa venti studenti, che intrattengono con i professori molte relazioni inter-personali. Differenza importante è data anche dalla modalità di verifica delle conoscenze: mentre nelle università italiane ci sono determinati periodi dell’anno in cui si concentrano gli esami, in America i professori svolgono verifiche costanti per testare la preparazione degli studenti, sottoponendo diversi compiti a cadenza regolare. Anche per quanto riguarda il mondo sportivo, ci sono differenze notevoli tra il modo di concepire lo sport in Italia e, più specificamente, in Ogliastra, e la visione americana che racconta Rebecca.

«Purtroppo è tutto un altro mondo! Se in Italia avevo l’impressione che la sfera accademica e quella sportiva si contrastassero troppo, in America ho scoperto che le due possono rafforzarsi a vicenda. Più volte i professori italiani hanno ‘ostacolato’ la mia carriera sportiva, probabilmente a causa del fatto che spesso gli atleti vengono visti come nullafacenti. Qui, invece, ci sono tante agevolazioni che offrono ai giovani la possibilità di eccellere in entrambi i campi».

I progetti di Rebecca per il futuro sono tanti e sono ambiziosi: vorrebbe unire la passione per il marketing e il business a quella per la moda. Per questo motivo ha affidato la prima parte dei suoi studi agli americani, ma vuole tornare in Italia per specializzarsi nel campo della moda, essendo, il nostro, un Paese molto qualificato in questo settore. Per quanto riguarda la Sardegna, invece, Rebecca non crede che la regione possa offrirle il futuro lavorativo che desidera, ma è fiera delle sue radici e sente spesso la mancanza di casa.

«Non mi piace dire che ho lasciato la Sardegna, perché, anche se non definitivamente, tornerò sempre nella mia terra: l’Ogliastra mi manca più di quanto potessi immaginare! E’ proprio vero che a volte devi ‘perdere’ quello che hai per apprezzarlo veramente! Oltre a famiglia e amici, sento forte la mancanza del nostro mare, del clima e del sole, cose che ora so apprezzare veramente, visto che vivo in un posto lontano dal mare, in cui le temperature scendono fino a -25°».

Alla domanda “Qual è il tuo sogno nel cassetto?”, Rebecca risponde con determinazione di aver sempre sognato di lavorare per grandi case di moda o testate giornalistiche; non da stilista, ma creando una figura nuova, non ancora del tutto sviluppata.

«Il mio ‘grazie’ più grande va ai miei genitori, che mi hanno sempre incoraggiata in qualsiasi scelta, e a mia nonna, un punto di riferimento senza il quale, oggi, non sarei qui. Non posso ancora sapere se sono sulla strada giusta, so solo che ne ho presa una un po’ diversa dal solito, senza indicazioni e ancora sterrata, ma a volte sono proprio queste strade a portarti a destinazione!».

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