Questa mattina i candidati governatore alla regione Sardegna per le imminenti elezioni del 24 febbraio si sono ritrovati a Cagliari, nella chiesa di Santa Restituta, per un dibattito pubblico. L’appuntamento rientrava nelle iniziative promosse in occasione della festa liturgica di Sant’Efisio, data in cui tradizionalmente la Pastorale Sociale e del Lavoro Diocesi di Cagliari promuove una iniziativa di confronto con gli amministratori locali.
I candidati hanno provato a scaldare la folla, ma talvolta empatia e, in certi casi, producendo qualche scivolone evitabile. Come quello in cui è inciampata Ines Pisano, candidata in una lista che si colloca sul centrodestra, che si è lasciata trascinare da una gaffe: «In Sardegna ci sono cinque milioni di persone in povertà assoluta e nove milioni in povertà relativa». I dati in realtà sono quelli mostrati dall’Istat sulla popolazione italiana, e il magistrato si accorge troppo tardi della gaffe, quando ormai era già scattata l’ilarità del pubblico. Tenta in qualche modo di recuperare il terreno perduto ma le sue proposte denotano una scarsa conoscenza del tessuto sardo.
Più scafato Mauro Pili, a ricordare gli interventi operati da presidente nel biennio 2002-2003 e a denunciare il clima di clientelismo creatosi anche in Sardegna negli ultimi anni. Chiude dunque la porta alle politiche sociali che fin qui hanno creato più drammi che vantaggi, e rilancia con tre proposte: abbattimento delle tasse per chi assume, piano di 100 milioni di euro per agevolare il turismo in Sardegna e un piano infrastrutturale straordinario che cambi la fisionomia dei territori e consenta di creare lavoro e sviluppo. Non si tira indietro nel dire no alla riforma sanitaria della giunta Pigliaru: «L’assessore è ridicolo quando parla di abbattere le liste d’attesa. Questa riforma serve solo ad aumentare lo spartimento di potere negli uffici pubblici e aiutare la sanità privata».
Christian Solinas rimane più compassato, per certi versi anonimo. Espone i concetti del centrodestra senza mai colpire nel segno, girando attorno ai temi e concedendo poco alla concretezza. Riesce ad uscire dal guscio quando parla di lavoro: «Dobbiamo attuare una seria lotta al precariato. Il precariato non è reddito, non consente ai giovani di sopravvivere. Ecco perché dobbiamo stare al fianco delle imprese, snellire la burocrazia e puntare sulla formazione e sul turismo». Il principio è quello di superare l’azione di governo della giunta Pigliaru, resettare tutto e ripartire da capo. Ma quando gli viene chiesto di parlare di sé non risponde, cita la coalizione e gira attorno al tema.
Parla col cuore invece Andrea Murgia, lo fa spesso caricando il proprio intervento di pathos. Fa notare i problemi dei piccoli paesi: «Dobbiamo aiutare i paesi lavorando su un piano contro la dispersione scolastica, lo spopolamento e la burocrazia decentrata. Fronteggeremo la disoccupazione e faremo in modo che i piccoli centri possano tornare a vivere come un tempo». Snocciola un po’ di cifre riguardo l’aumento della povertà nell’Isola e dona due ricette: puntare sulla formazione e costruire un sistema sociale a misura di donna.
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