Una raccolta firme per salvare “il giardino di ciliegi” indirizzata al sindaco di Lanusei. In centinaia a sostegno della petizione
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Dopo la controversa battaglia social sul cammello Rodolfo, l’attivista Enrico Rizzi torna a puntare il dito contro la Sardegna agropastorale. Questa volta nel mirino finisce un gruppo Facebook in cui pastori e allevatori pubblicano annunci di permuta di animali, una pratica antica quanto l’allevamento stesso, ma che l’attivista ha definito degradante.

“Adesso gli animali si danno in ‘permuta’, come le macchine, come merce o semplici oggetti da farne ciò che si vuole. Il rispetto per la ‘vita’ non sanno cosa sia”, scrive Rizzi, commentando alcuni post pubblici del gruppo. L’appello — nel quale specifica che la pratica avviene in Sardegna — è diventato virale in poche ore, generando centinaia di commenti e riaccendendo una frattura mai del tutto ricomposta tra animalismo militante e il mondo degli allevatori.
Molti utenti sardi, compresi sostenitori abituali dell’attivista, hanno criticato l’impostazione del post. Una donna interviene con toni pacati ma fermi: “Seguo e apprezzo il tuo lavoro, ma non era necessario sottolineare che questo scambio avviene in Sardegna. Così si rischia di alimentare una percezione discriminatoria verso un’intera regione. Il problema riguarda pratiche sbagliate ovunque, non un popolo.” Per molti commentatori, infatti, il riferimento geografico avrebbe trasformato un caso specifico in una generalizzazione percepita come un attacco a una categoria già sotto pressione. “Così si crea solo odio verso gli allevatori”.
Tra i commenti più articolati compare anche quello di una donna sarda, figlia di allevatori: “Rispetto il tuo impegno, ma su questo sbagli. Il tuo post crea sgomento gratuito verso una categoria, quella degli allevatori, che vive nel rispetto degli animali perché da loro dipende il proprio sostentamento. Il baratto esiste da sempre e non è mancanza di rispetto.” La testimonianza sottolinea come in molte zone rurali il baratto del bestiame sia una forma naturale di accordo tra allevatori e proprietari di terreni, spesso preferita a pagamenti in denaro. Una pratica tradizionale, non un abuso.
La stessa commentatrice incalza Rizzi citando il recente scandalo che ha coinvolto un’azienda nazionale legata alla filiera alimentare: “Avrei preferito la stessa indignazione per i fatti dell’AIA: lì sì che c’era mancanza di rispetto per la vita. Qui non c’è crudeltà, non c’è violenza. Perché allora alimentare odio verso chi lavora onestamente con gli animali?”.
La polemica riporta al centro il rapporto complicato tra attivismo animalista e mondo rurale sardo. Da un lato chi denuncia l’uso degli animali come “beni scambiabili”, dall’altro chi rivendica la dignità di una cultura millenaria che vive grazie al bestiame e che, nella stragrande maggioranza dei casi, lo rispetta e lo tutela.