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Stiamo parlando della mandorla “Schina de Porcu”, una varietà dolce tipicamente sarda, celebre soprattutto per dare vita ai dolci tradizionali dell’isola. Gli alberi che la producono hanno rami giovani di uno o due anni, come se custodissero in ogni germoglio l’energia della nuova stagione.
Nel guscio, le mandorle misurano in media 28 mm di lunghezza, 25 mm di larghezza e 16 mm di spessore, con un peso di circa 4 grammi ciascuna. I semi, piccoli e a forma di cuore, sono lunghi 21 mm, larghi 14 mm e spessi 6 mm, e 100 semi pesano circa 100 grammi.
Queste mandorle si gustano in mille modi: crude, tostate o direttamente, ma il loro vero talento emerge nei dolci sardi. Dal torrone agli amaretti, dai gueffus ai candelaus, la “Schina de Porcu” diventa spesso l’ingrediente principale, conferendo aroma e dolcezza uniche. Rispetto ad altre varietà, le mandorle sarde contengono meno acqua e più olio: i loro semi custodiscono tra il 38% e il 58% di preziosi olii, pronti a esaltare ogni ricetta.
Il mandorlo in Sardegna ha radici antiche, come si racconta bene nel sito di Laore: un tempo, era un pilastro dell’economia agricola, con coltivazioni specializzate già nei primi del ‘900, soprattutto nel retroterra di Cagliari e nell’agro di Sanluri. Ai primi del XX secolo, il mandorlo dominava i frutteti dell’isola: 6.000 ettari di coltura specializzata e 5.000 di coltura mista. Dopo gli anni ’50, la coltivazione ha conosciuto un lento declino, fino ai circa 2.500 ettari specializzati e 7.000 di coltura mista odierni.
Oggi la mandorla “Schina de Porcu” è anche Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT): la sua lavorazione, conservazione e stagionatura seguono regole tramandate da almeno venticinque anni, unendo sapienza artigiana e gusto autentico, simbolo di un territorio e della sua storia.