Lo sapevate? A Milano a distanza di oltre ottant’anni sono ancora visibili le ferite della Guerra
Le ferite della Seconda guerra mondiale in città sono ancora visibili. Da piazza Repubblica al quartiere Adriano, viale Bodio, la Rinascente e la Scala: sui muri, lungo le strade, nel sottosuolo e sui monumenti del capoluogo lombardo sono ancora evidenti i passaggi di quei terribili momenti. Segnali che sopravvivono a tutto e tutti e sono lì per testimoniare.
Lo sapevate? A Milano a distanza di oltre ottant’anni sono ancora visibili le ferite della Guerra.
Le ferite della Seconda guerra mondiale in città sono ancora visibili. Da piazza Repubblica al quartiere Adriano, viale Bodio, la Rinascente e la Scala: sui muri, lungo le strade, nel sottosuolo e sui monumenti del capoluogo lombardo sono ancora evidenti i passaggi di quei terribili momenti. Segnali che sopravvivono a tutto e tutti e sono lì per testimoniare.
Come riporta il testo “I bombardamenti aerei su Milano durante la II guerra mondiale”, di Mauro Colombo, pochi mesi dopo lo scoppio della guerra, e prima ancora che l’Italia decidesse di prendere le armi al fianco dell’alleato tedesco, l’Italia fu oggetto di numerose missioni aeree di ricognizione da parte delle forze inglesi, che intendevano monitorare il territorio di quello che, secondo il loro punto di vista, sarebbe stato un futuro nemico.
Nel 1940 Milano era ritenuta dagli Inglesi un importante obiettivo militare, essendo la più sviluppata città industriale d’Italia e una delle più rilevanti a livello europeo, situata all’interno del triangolo industriale, con Torino e Genova.
La città era ritenuta inoltre uno dei principali snodi ferroviari del Paese, caratterizzata da 21 linee ferroviarie, da una delle stazioni più grandi d’Europa e da importantissimi scali merci.
I rapporti stilati a conflitto già iniziato indicavano in un milione e centomila gli abitanti della città, che gli stessi studi descrivevano divisa a cerchi concentrici, il più interno dei quali (centro storico, all’interno della cerchia dei navigli) risultava essere anche il più vulnerabile in caso di intenso attacco aereo, sia perché maggiormente abitato, sia per la vicinanza tra loro delle costruzioni, con strade prevalentemente strette.
Il bombardamento sistematico fu in un primo momento (fino a tutto il 1943) rivolto a colpire la città “civile”, mirando su case e popolazione, affinché questa terrorizzata spingesse sul Governo a chiedere un armistizio; in un secondo tempo (dal 1944) si accanì su fabbriche e produzione bellica, asservita alle esigenze tedesche.
Milano subì il primo attacco aereo dopo soli cinque giorni dall’entrata in guerra dell’Italia. L’allarme antiaereo fu dato alla 1.48. Vennero colpiti diversi edifici, e si contarono un morto e alcuni feriti.
Il peggio arrivò due e tre anni dopo. Una sera d’agosto del 1943 l’allarme suonò che mancavano otto minuti all’una. Le bombe caddero venti minuti più tardi. Una centrò la chiesa di Santa Maria alla Porta, nella via omonima, e distrusse la bella cappella dedicata alla Madonna dei Miracoli. Rimane il rudere di un arco addossato alla chiesa, il ricordo della magnifica cappella che era. Si affaccia sulla piccola insenatura di via delle Orsole.
Restano le frecce e le lettere verniciate sulle facciate per indicare i rifugi, le schegge delle bombe ancora conficcate, le garitte, le bombe inesplose, i buchi sui pali della luce, tutto questo fa parte della storia della città.
E poi i segnali ancora ben leggibili sui muri di molti palazzi, indicavano le cantine-rifugio in piazzale di Porta Lodovica 2, o in quello di via Molino delle Armi rimasto un rudere affacciato sull’acciottolato di via Campo Lodigiano. O in via Alberto da Giussano, tra le vie Piolti De Bianchi e Archimede, in corso Indipendenza, in ogni quartiere. In viale Bodio 22, rimane la memoria del «Rifugio 87», sotto la scuola primaria Leopardi. Quando i caccia bombardieri attraversavano il cielo di Milano, nel seminterrato dell’edificio (220 metri quadrati) trovavano rifugio quasi 500 persone, con dieci stanze e due bagni alla turca.
Le bombe sfondarono il tetto della Scala, fu distrutta la Rinascente, colpito il Duomo (i segni lasciati dalle schegge sono ancora in alcune formelle di bronzo del portone). Sono rimasti i fori delle schegge sui pali della luce e del tram. In piazza della Repubblica c’è il palo segnato con i numeri 16 e 14, pieno di fori, almeno una dozzina, un altro è vicino all’uscita della metropolitana. Segni sulla facciata del palazzo in via Monte Santo 9; raffiche su alcune lapidi al cimitero Monumentale, su alcune colonne del porticato dell’università Statale.
Sul pavimento del porticato del palazzo che fronteggia la Borsa, in piazza Affari, è conficcata una scheggia di una bomba incendiaria. E sparse in varie zone, troviamo anche resti di garitte anti-bomba, come riporta un vecchio articolo del Corriere della Sera. Al parco della Martesana, alla Cassina de’ Pomm, in via Melchiorre Gioia, per esempio, tra altalene e giochi, si trova un rifugio a garitta per una persona. Fino a pochi anni fa, i resti più conosciuti della guerra erano sicuramente i ruderi dei palazzi, fotogrammi della disperazione, affacciati ancora sulla Milano che stava per entrare nel terzo Millennio: in via Lupetta, strada che sfocia in via Torino, con quei vecchi palazzi sventrati rimasti en plein air per decenni, o ancora il rudere che campeggiava fino a ieri all’incrocio delle Cinque Vie.
Ma forse, la testimonianza più evidente di ciò che la guerra ha lasciato a Milano è la montagnetta di San Siro, il Monte Stella, fatto di pietre, mattoni e terra. I ruderi di quella guerra.
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