Silvia Romano, Somalia: viva ma costretta a matrimonio islamico. Gli inquirenti: “Nessun riscontro”
#mondo La volontaria italiana rapita a novembre 2018 in Kenya è viva: Silvia Romano sarebbe stata però costretta a a un matrimonio islamico e all'islamizzazione
canale WhatsApp
Silvia Romano secondo fonti di intelligence, è viva: la ragazza, rapita lo scorso novembre in Kenya sarebbe stata però costretta all’islamizzazione e a un matrimonio islamico. A riportare l’indiscerzione è Il Giornale. Gli uomini che la tengono prigioniera starebbero attuando nei suoi confronti “una sorta di lavaggio del cervello, una manovra di pressione psicologica che punta a recidere i legami affettivi e culturali con la sua patria d’origine”. Il fatto che sia arrivata la notizia del matrimonio significa che è stato attivato un canale con i rapitori.
La Somalia è il Paese africano dove la presenza jihadista è più forte in assoluto. La ragazza si troverebbe probabilmente tra il Sud e il Sudovest del Paese, dominato dai mujaeddin di Al Shabab, una tra le fazioni più integraliste della jihad. Rapita nel villaggio in Kenya di Chakama, 80 km da Nairobi, Silvia fu portata in Somalia poche settimane dopo il sequestro. Ha dovuto sposarsi con un musulmano, e probabilmente il marito è un uomo dell’organizzazione che l’ha sequestrata.
La strategia dei jihadisti è normalmente quella di indottrinare i prigionieri di guerra in modo da puntare ad avere, dopo la liberazione, un infiltrato da utilizzare per la Guerra Santa nel suo Paese di origine, anche se non è facile capire il ruolo di Silvia in questo contesto. La ragazza è finita in un territorio in cui l’intervento occidentale è molto più difficile rispetto al Kenya, dove prestava servizio di volontariato in un villaggio. Difficile pensare a un raid per liberarla. L’unica strada è quindi quella dell’intelligence, della ricerca di contatti e trattative con i rapitori, a cominciare dal pagamento di un riscatto, che pare oggi l’unica strada per la liberazione.
LA SMENTITA DEGLI INQUIRENTI
Nella tarda mattinata arriva però una smentita da parte degli inquirenti che indagano sul caso: non c’è alcuna evidenza investigativa sulla presunta islamizzazione forzata di Silvia Romano, si apprende da fonti giudiziarie.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Radiologo salva la sua gatta in fin di vita con la Tac dell’ospedale: il caso finisce in Procura

"E' stato l'unico modo per salvarle la vita", queste le parole del medico dell'ospedale di Aosta.
canale WhatsApp
La vicenda che nelle ultime ore ha fatto il giro dei media nazionali e internazionali approda ora in Procura. La magistratura di Aosta ha infatti aperto un fascicolo — al momento senza ipotesi di reato formalizzate — sul caso del radiologo G.F., responsabile della struttura semplice di Radiologia e neuroradiologia interventistica dell’ospedale Parini, che ha ammesso di aver utilizzato le apparecchiature dell’ospedale per sottoporre la propria gatta, Athena, a una Tac e a un drenaggio toracico dopo una caduta di sei piani.
A portare il caso all’attenzione della Procura è stata la stessa azienda Usl della Valle d’Aosta, che ha avviato accertamenti interni sull’episodio. Il medico ha risposto con una lettera, dichiarandosi disponibile a risarcire eventuali danni economici e spiegando le proprie ragioni: «Di professione faccio il radiologo interventista e sapevo di poterla salvare solo con un intervento tempestivo».
Il direttore generale, Massimo Uberti, aveva già sottolineato la possibile rilevanza penale della vicenda: «Qui ci sono anche ipotesi di reato perseguibili d’ufficio. Il pubblico ufficiale ha l’obbligo di segnalazione». Parallelamente è stata attivata una commissione disciplinare con l’iter di verifica dei fatti, dopo che un collega del primario aveva riferito l’episodio.
La gatta Athena era precipitata dal tetto del condominio per sei piani. Portata inizialmente dal veterinario, erano emersi traumi multipli: fratture posteriori, sospetto pneumotorace, possibili lesioni interne. Vista la gravità, il medico si è recato all’ospedale regionale Parini in un orario in cui le tre Tac non erano in servizio programmato. Verificata l’assenza di pazienti in attesa, ha eseguito un esame di pochi secondi e poi il drenaggio toracico che ha permesso all’animale di tornare a respirare.
«Da quel momento la gatta si è gradualmente ripresa» racconta il medico, che sottolinea di non essere in servizio e di aver agito solo per salvare la vita dell’animale. Athena è uno dei cinque gatti che il radiologo ha adottato nel tempo, tutti salvati dalla strada. «Se non avessi fatto tutto ciò che potevo, e la mia gatta fosse morta, non me lo sarei mai perdonato, anche per i miei figli che la adorano».
La storia continua a suscitare un acceso dibattito sulla gestione delle risorse sanitarie pubbliche, tra chi difende il gesto “salvavita” del medico e chi invoca il rispetto rigoroso delle procedure e dell’uso delle apparecchiature ospedaliere. Ora la parola passa alla Procura, che dovrà stabilire se nell’intervento di quella notte si configurino responsabilità penali o disciplinari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

